Questo articolo è stato pubblicato sul numero del 15 marzo 2023 de il Riformista.
È un viaggio a ritroso nel tempo quello che l’Italia ha compiuto alla 66esima Sessione della Commissione Stupefacenti delle Nazioni Unite, a Vienna, un brutto déjà vu. Il proibizionismo ideologico del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alfredo Mantovano, che ha la delega sulle droghe, è apparso persino più radicale di quello proclamato dall’ONU, che dal 2016, anno dell’Assemblea generale di New York, almeno si è accorto che l’obiettivo di ‘un mondo senza droghe’ è irrealistico e retorico.
Mantovano ripristina tutto il vecchio armamentario del ‘consumo zero’, incurante di come 60 anni di politiche globali abbiano prodotto, dati alla mano, non solo insuccessi – nel mondo si consuma, si produce e si vende illegalmente sempre di più – ma danni e sofferenze a persone e comunità: quelle persone e comunità di cui si dice di volersi prendere cura e che invece da sempre ricevono dalle politiche della tolleranza zero esclusione, carcere, stigma, violazione dei diritti. Invertendo l’onere della prova, Mantovano ci assicura che la responsabilità invece è a carico di certi “messaggi fuorvianti, relativi alla presunta innocuità o leggerezza di talune sostanze” che circolerebbero “con troppa insistenza”. L’Italia ripresenta al mondo il suo vecchio proibizionismo paternalista, fatto di pugno duro, carcere o, in sostituzione, comunità-carcere, dove il solo obiettivo ammesso di trattamenti e percorsi è l’astinenza. Proprio quella tolleranza zero che guida una ‘guerra alla droga’ le cui vittime a restare sul campo sono sempre e solo le persone che usano droghe.
Intanto l’Italia e il mondo sono andate e stanno andando da un’altra parte: cercano modalità più efficaci e a minor rischio di gestire i fenomeni, per esempio regolandoli legalmente invece che regalandoli al mercato nero, come accade per la cannabis in molti paesi del mondo; per esempio lavorando affinché chi consuma lo faccia con meno rischio e con più attenzione alla propria sicurezza, come fa la politica di Riduzione del danno; per esempio decriminalizzando e mitigando l’impatto penale, che destina alla emarginazione e alla sofferenza senza per altro in cambio incidere sulle scelte di consumo. E invece… Il governo italiano ci fa tornare a quel “tutte le droghe sono dannose, non ci sono droghe leggere” che, con la legge Fini Giovanardi poi abrogata, ha affollato le nostre carceri, e all’idea, affermata contro ogni evidenza, che ogni consumo di droghe è destinato alla dipendenza, e che chi usa sceglie la morte e di “non essere più se stesso”.
Dunque libertà e responsabilità sarebbero parole fuori dal vocabolario di ogni persona che usa droghe, che – di nuovo! – è un po’ deviante e un po’ malata: e deve finire un po’ in carcere, un po’ in trattamento, più o meno indotto e forzato, verso il ‘consumo zero’ (meglio se in una comunità chiusa e con la regola tipo ‘tre volte e sei’ fuori, cioè non ci occupiamo più di te, come recita una dichiarazione del sottosegretario Delmastro sulle alternative al carcere). Quello che davvero non vorremmo vedere, ma temiamo di vedere, è un’Italia seduta di nuovo sui banchi dell’ONU vicino a Russia, Cina, Iran – che della tolleranza zero e della war on drugs sono i paladini – e non su quelli dell’Unione Europea. Di nuovo, come nel 2009, quando il governo rappresentato da Giovanardi ruppe il fronte europeo e strinse alleanze impresentabili contro la Riduzione del danno.
E quello che davvero non vorremmo vedere, e faremo di tutto per non rivedere, è una politica repressiva, inefficace, al limite dello stato etico, e ignorante delle evidenze e delle esperienze. Regolazione sociale e non penale dei fenomeni del consumo, investimento sulle competenze, sulle culture e sui diritti di chi usa, sviluppo e sostegno alle politiche di Riduzione del danno, riforma delle leggi basata sulle evidenze, sperimentazione e valutazione di politiche alternative come la regolazione legale. Per non tornare al 2009, per non uscire dall’Europa.
L’articolo sul sito de il Riformista.