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Sotto la montagna di rifiuti che sta sommergendo la Campania vengono seppellite molte altre, drammatiche emergenze sociali. Da mesi assistiamo alla chiusura di decine di case-famiglia, di centri diurni e di strutture residenziali, luoghi accoglienti e percorsi per persone segnate dall’abbandono, dall’abuso, dalla povertà, dall’emarginazione. Persone la cui assistenza, nella migliore delle ipotesi, ricadrà sulle famiglie o spingerà unicamente al ricorso a nuove e vecchie istituzioni totali: non solo carceri, manicomi e istituti per bambini ma anche risposte inappropriate come ospedali e cronicari. Di fatto, a Napoli sono stati tagliati oltre cento servizi territoriali e quasi mille posti di lavoro per operatori sociali. L’intero sistema socio-assistenziale sta crollando, per mancanza di fondi e per i debiti che la Regione, gli enti locali e le Asl hanno verso le associazioni e le cooperative sociali cui hanno affidato la gestione dei servizi, usandoli come vere e proprie banche: basti pensare che le organizzazioni hanno anticipato complessivamente ben 500 milioni di euro di costi di gestione, e ora non ce la fanno più. Il problema non è più “solo” quello dei ritardi dei pagamenti: Regione Campania, Comune di Napoli, Ambiti Territoriali, Aziende Sanitarie Locali, vanno a marcia indietro in tema di politiche sociali, decidendo di non investire più. Per protestare contro i tagli alla sanità e al sociale che stanno compromettendo l’intero sistema di welfare regionale e locale, circa 300 operatori sociali e socio-sanitari da due settimane occupano l’ex manicomio Leonardo Bianchi di Napoli, che fino a 15 anni fa ospitava circa mille e cinquecento persone in condizioni disumane. Si è arrivati anche allo sciopero della fame collettivo, a cui hanno aderito venti presidenti e rappresentanti di cooperative sociali e associazioni riuniti nel comitato “Il welfare non è un lusso”, in rappresentanza di duecento organizzazioni. A loro, dopo un deludente tavolo di confronto in Prefettura, si sono aggiunti altri cento operatori. La riapertura dell’ex manicomio, simbolo di una lotta che dilagherà a macchia d’olio prima nel Sud e poi in tutto il Paese, e lo sciopero della fame, insieme a una manifestazione regionale sul welfare che il 14 dicembre fa ha portato in piazza a Napoli diecimila persone, fanno tutti parte di una vertenza che coinvolge l’intera Campania, al collasso per un’emergenza che riguarda da vicino 630mila anziani non autosufficienti, 25mila persone tossicodipendenti, 156mila disabili, 46mila sofferenti psichici, un milione di bambini. Nonostante le manifestazioni, l’occupazione del manicomio e lo sciopero della fame (che proseguirà a oltranza), nessuna risposta concreta è arrivata dalle istituzioni, a parte qualche generica dichiarazione di intenti. Per questo il comitato chiede di dichiarare lo stato di crisi del welfare in Campania per ottenere così l’intervento del governo nazionale. Intanto, la vertenza ha ricevuto la solidarietà di moltissime organizzazioni nazionali, ma anche di tanti personaggi del mondo dello spettacolo; della cultura, tra cui Gian Antonio Stella, Ascanio Celestini, Sergio Staino (che ci ha regalato una vignetta); della politica, a partire da Nichi Vendola; della chiesa, dal cardinale di Napoli Crescenzio Sepe a Don Tonino Palmese. Adesso, dopo avere scritto al presidente della Repubblica Napolitano, lanciamo un appello al Governo, alle Regioni e ai Comuni per chiedere loro di evitare ogni genere di taglio alla spesa sociale e tornare ad investire sul welfare, che non è un bene di pochi, ma di tutta la collettività. Il nostro appello si rivolge anche a tutto il Paese perché, proprio a partire dalla lotta simbolo condotta dai 300 operatori dell’ex manicomio  Bianchi, ci si possa ritrovare a Napoli, la città in questo momento più disgraziata e martoriata: per aprire un laboratorio sulla crisi e trovare insieme soluzioni alternative, politicamente più responsabili, socialmente più compatibili, che non mettano a repentaglio il sistema dei diritti fin qui costruiti.