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Quando per la prima volta ho visto le infiorescenze di cannabis light vendute in fiera, pur intuendone il valore dal punto di vista immediatamente economico, ne avevo sottovalutato il significato sociale e politico. A distanza di 3 anni, un intero comparto produttivo è rinato intorno ad una pianta che ha accompagnato la vita dell’umanità per millenni. Una pianta che i nostri nonni coltivavano, che rappresentava una delle principali fonti di guadagno dell’agricoltura di intere province. A Ferrara, da dove scrivo, il 12% della superficie agricola nei primi anni del 900 era coltivata a canapa.

Oggi la cannabis light è oggetto di un’assurda campagna che è politica, mediatica e infine giudiziaria. Come ci dimostrano le numerose folli azioni delle Forze dell’Ordine contro negozi e produttori, l’ultima a Parma due settimane fa. Per chi si occupa di politiche sulle droghe, anche di quelle decisamente più pericolose, mettersi a difendere un prodotto che non ha effetti psicoattivi a prima vista può apparire una battaglia di retroguardia. Ma non lo è.

Le tisane di foglie e fiori di canapa sono vendute in Italia da almeno 20 anni. Il valore di provocazione politica, culturale e sociale sta tutto invece nelle vetrine con le infiorescenze di canapa “per uso tecnico” sulle vie e sulle piazze di tutta Italia. Un vuoto legislativo ha reso evidente a tutti l’avvenuta normalizzazione del consumo di cannabis nella società italiana. Vedere il fiore della “pianta del demonio”, liberamente in vendita, nel grow shop, dal tabaccaio o al distributore di benzina: è questo che ha mandato fuori di testa i proibizionisti. Scoprendo le carte dell’ipocrisia e dell’ideologia.

Gli assalti sconfusionati del Ministro della Paura non sono altro che l’ennesima ricerca di un nemico che non c’è: non sono nemici i migranti, i rom, non lo sono i consumatori di sostanze, figuriamoci coloro che coltivano, distribuiscono e vendono i fiori di una pianta che non ha alcun effetto drogante. Come colpire l’alcolismo vietando la birra analcolica – è stato detto – come “vietare” di fumare rosmarino, e arrestare chi lo vende. È un attacco talmente sguaiato che rende facilmente svelabile a tutti il castello di carte di falsi miti su cui è costruita l’ideologia proibizionista.

L’attacco alla Cannabis light svela tutta l’ipocrisia di un sistema nazionale e internazionale di controllo delle droghe che si era impegnato nel lontano 1998 a ottenere un mondo senza droghe in 10 anni. Ne sono passati 20 e produzione e consumo di droghe sono aumentati più che la popolazione mondiale. Così come i guadagni delle mafie che controllano il mercato più libero che ci sia.

Sono passati quasi 50 anni da quando il termine war on drugs fu coniato. In Italia ha prodotto una guerra dei 30 anni inefficace e dannosa, i cui effetti abbiamo svelato nel libro bianco sulle droghe.

Dal 1990 ad oggi quasi 1 milione di persone è stato segnalato ai Prefetti per consumo di cannabis. Una intera generazione colpita da sanzioni amministrative, che magari per queste ha perso il lavoro ed è stata costretta a costosi percorsi per riottenere la patente. Senza contare le migliaia di anni di galera di chi è stato incarcerato anche solo per detenzione, o peggio perché voleva coltivarsi la propria pianta per non foraggiare le narcomafie.

È ora di dire basta. L’alternativa c’è: in Uruguay, in Colorado ed in California, Canada, addirittura fra poco in Lussemburgo. Ed è qui, in questa sala. Nella primavera del 2020 l’ONU dovrà decidere sulla riclassificazione della cannabis, dopo la raccomandazione dell’OMS. Abbiamo una meta, Vienna, abbiamo una soluzione, pragmatica, realistica ed efficace: la legalizzazione.

Consulta lo speciale cannabis light su fuoriluogo.it/cannabislight