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carcere-campagna-farfalla.jpgAlle dieci di questa mattina, gli uffici della Corte di Cassazione accoglieranno i rappresentanti di 16 associazioni che si occupano di diritti, legami sociali e libertà individuali, i quali depositeranno tre proposte di legge d’iniziativa popolare. Quelle aule che all’inizio del secolo scorso Guglielmo Calderini progettò cupe e pompose per comunicare l’idea di una giustizia distante e incombente, oggi saranno invece il luogo della garanzia per tutti i cittadini. Le tre leggi, infatti, incidono su ciò che il Parlamento non ha voluto approvare e che il governo non ha saputo affrontare in modo adeguato: la privazione della libertà personale con i rischi che ne conseguono, la salvaguardia dei diritti di coloro che ne sono privati. La prima proposta di legge riguarda l’introduzione del reato di tortura nel codice penale, la seconda, un insieme di provvedimenti volti a ricondurre nella legalità le condizioni carcerarie, la terza, la depenalizzazione del consumo e della detenzione personale di droghe e la riduzione del ricorso al carcere per coloro che ne sono dipendenti.
La continuità con quanto affermato all’apertura dell’anno giudiziario è evidente e va colta fuori dalla retorica che accompagna questi eventi: le parole del primo presidente della Cassazione hanno richiamato anche la magistratura alla responsabilità per un uso più contenuto della carcerazione e per uno sguardo più attento a quanto avviene nelle celle.
Il tema non è più rinviabile e il mondo politico non ne ha finora colto l’urgenza: il Parlamento non ha inserito la tortura tra i reati e ha chiuso i battenti non accogliendo la pur timida proposta di “mettere alla prova” gli autori di un primo reato non grave, avanzata dal ministro della giustizia. Del resto il ministro, pur in un contesto di discontinuità nell’individuare la centralità del tema, ha di fatto proposto strumenti del tutto inadeguati per ridurne la drammaticità: il tutto si è risolto in una riduzione molto lieve del numero complessivo dei detenuti; nessuna incidenza sui nodi che determinano quel carcere, quella penalizzazione di persone in base al loro status, come nel caso degli immigrati irregolari, o in base al loro stile di vita, come nel caso dei consumatori di droghe.
Da qui le tre leggi d’iniziativa popolare, come irruzione del tema dei “diritti degli ultimi” e del recupero del senso di giustizia in una campagna elettorale altrimenti centrata solo su altri aspetti, quantunque rilevanti. Si tratta di evitare l’impunità per gli autori di gravi maltrattamenti in carcere, anche al fine di togliere ombre dal comportamento corretto dei più. Si tratta d’introdurre il garante nazionale dei detenuti, di abolire i lacci che impediscono di concedere misure alternative e di ridurre il flusso degli ingressi. Si tratta di depenalizzare l’uso personale o terapeutico delle droghe, di scorporare i fatti di “lieve entità” dal complessivo monstrum della normativa antidroga e di predisporre percorsi non detentivi per chi ha iniziato programmi terapeutici. Primi, significativi passi per una inversione culturale.

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