Tempo di lettura: 2 minuti

In occasione di Spiazziamoli, evento organizzato da Libera e altre realtà in 50 piazze a Roma contro le mafie, il comitato abitanti del Pigneto ha distribuito semi di cannabis, spiegando il gesto con un manifesto: “Attenzione: questo è un seme di cannabis, genera libertà, se piantato e coltivato è un potente maficida. Sabato 7 Marzo(…) distribuzione di semi di cannabis e raccolta di firme per la legalizzazione dei cannabis social club. In tanti paesi legalizzando le droghe leggere si sottraggono soldi ai trafficanti, si restituisce dignità ai consumatori, si libera economia per tutta la comunità. In Italia, a Roma, al Pigneto l’ipocrisia del proibizionismo riempie le strade di droga, violenza e repressione”. Che cosa ha spinto un comitato civico ad una posizione così inedita? Sei strade rappresentano il centro del Pigneto, già abitato da operai e artigiani e con una convinta partecipazione alla resistenza: poi, dagli anni ’90, la gentrificazione. I prezzi modesti degli affitti attirano gli studenti fuori sede e vi trovano casa molti lavoratori immigrati; il prezzo delle abitazioni richiama famiglie della piccola e media borghesia. Il Pigneto, descritto da Ferrarotti nel ’90 come “vivace, carino e anche molto economico” comincia una trasformazione che lo renderà una delle mete della movida romana, sino ad essere paragonato al Greenwich Village. Ma la magia dura poco, i locali di tendenza allontanano ogni altra attività, il quartiere vive un notturno senza alcun progetto, sregolato, in grado di offrire solo food and beverage. In tale contesto di sovraffollamento, che si trasforma in caos e degrado, trovano spazio attività di spaccio sempre più incontrollate, praticate in larga parte da giovani immigrati. Una miscela esplosiva alla quale i cittadini del Pigneto stanno rispondendo avanzando proposte intelligenti e ragionevoli. In un recente incontro presso l’Assessorato alle Politiche sociali, nel denunciare i problemi comuni a tutto il territorio cittadino (microcriminalità, spaccio, dipendenze, cattiva gestione della migrazione, povertà, movida sregolata), hanno avanzato la richiesta di fare del Pigneto un laboratorio, proprio in virtù della concentrazione di tali fenomeni in un quadrante urbano limitato, sperimentando modalità d’intervento innovative, coordinate, che non richiedono risorse ingenti.

Nella piattaforma si legge, tra le altre cose, la richiesta di appoggiare le ”iniziative per promuovere un cambiamento dell’attuale legislazione in materia di droghe verso un approccio non punitivo per i consumatori e di liberalizzazione per i derivati della cannabis (e la) creazione del “social club Pigneto”, associazione con la finalità di promuovere sul territorio una visione laica e pragmatica sul consumo e l’abuso di droghe, di promuovere campagne informative e di prevenzione e, in generale, di contribuire al dibattito politico e culturale nella società”. Si chiede di avviare e coordinare attività di mediazione, di informazione e riduzione del danno, un “Progetto Migranti” in grado di prendere contatto con “giovani migranti, spesso giovanissimi” che dallo spaccio minuto “rimediano quel minimo di sussistenza necessario alla sopravvivenza”, pedine sacrificabili e subito rimpiazzate, alle quali offrire percorsi diversi. In ultimo, il Comitato abitanti Pigneto chiede di ospitare “una conferenza nazionale sulle droghe e sulla legalizzazione della cannabis”, individuando nel nuovo cinema Aquila, un bene sequestrato all’organizzazione criminale che negli anni ’80 riempì di eroina le strade della Capitale, la sede dell’evento. Un laboratorio dunque, altro che sassate.