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Andrea_Riccardi.jpgGentile ministro Riccardi, abbiamo apprezzato la scelta di affidare a Lei la delega sulle tossicodipendenze. Inserire la questione delle droghe entro la cooperazione e l’integrazione è di per sé una discontinuità rispetto alla scelta di vedere il consumatore di droghe come un criminale o come un malato. Suscita in noi speranza anche la spinta che Lei può offrire affinché il carcere, che offre una rappresentazione drammatica della detenzione sociale, esca da questo destino tragico.

Il Governo, come prima urgenza dopo il decreto sull’economia, ha posto il dramma delle carceri. La ministra Severino ha cercato di rispondere al sovraffollamento con un allargamento della misura della detenzione domiciliare per chi ha una pena fino a diciotto mesi. Pensiamo però che sia necessario un cambio di paradigma, affrontando con decisione la presenza dei tossicodipendenti e dei consumatori/piccoli spacciatori nelle carceri italiane: ecco perché sollecitiamo la Sua attenzione su questo nodo trascurato per ragioni incomprensibili, se non per il timore di toccare un tabù.

Nel giugno scorso, Antigone e Forum Droghe (con il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e la Società della Ragione) presentarono il Secondo Libro Bianco circa gli effetti della legge  Giovanardi ( 49/ 2006) sulla giustizia e sul carcere a cinque anni dall’approvazione.

Le ricordiamo alcuni dati eloquenti: su sessantottomila detenuti presenti alla fine del 2010, quasi venticinquemila erano stranieri, oltre sedicimila tossicodipendenti e più di ventisettemila ristretti per violazione dell’art. 73 della legge antidroga (detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti). Sono questi numeri a convincerci che è indispensabile una sua iniziativa per liberare subito almeno diecimila tossicodipendenti dal carcere. Occorre coinvolgere le Regioni, i Servizi Pubblici delle Dipendenze, le Comunità, il volontariato, la magistratura di Sorveglianza  per dare attuazione a un piano che abbiamo già elaborato anche nel dettaglio operativo e dei costi.

La legge sulla detenzione domiciliare ha il grosso limite di essere ovviamente inapplicabile per chi non ha un domicilio. L’ostacolo riguarda i detenuti stranieri – molti dei quali dentro per ragioni connesse all’uso di droghe: entrano in carcere per carenza di difesa e per norme criminogene e di stampo razziale. La legge prevede la possibilità di usare strutture di assistenza pubblica o privata per i soggetti senza casa. Le suggeriamo di chiedere alla collega Severino di impiegare le risorse della Cassa Ammende (istituzionalmente finalizzata al reinserimento sociale) per far cessare questa discriminazione etnica.

Perché finora non si è optato per una soluzione semplice e giusta? Da una parte il sovraffollamento ha mosso il partito degli affari legati all’edilizia, dall’altra non demordono coloro che per moralismo ideologico hanno scelto la via della repressione e della punizione. La coesione sociale non può essere una proclamazione astratta. Confidiamo in una politica delle droghe declinata con linguaggio sociale e non criminale, che punti sulle alternative al carcere e sull’accompagnamento umano.

Signor Ministro, il carcere, oggi pieno di un’umanità emarginata e di vittime di leggi sbagliate e crudeli, è anche di sua competenza. Abbiamo fiducia nella sua sensibilità.