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Giancarlo Arnao

Giancarlo Arnao – Foto dall’archivio di Giorgio Samorini

Giancarlo Arnao, lo studioso e il militante antiproibizionista, è scomparso il 14 novembre del 2000. Ripresentiamo alcuni brani della sua prefazione al volume Eroina oggi di Stampa Alternativa, a cura di Pierluigi Cornacchia. Il testo, dell’agosto 1979, presenta riflessioni straordinariamente lungimiranti, specie pensando agli sviluppi odierni di legalizzazione della cannabis in molti stati Usa.

Se proviamo a chiedere a cento persone un parere su problemi angosciosi e scottanti per ciascuno come la crisi energetica, lo sviluppo economico, la corsa agli armamenti, i rischi nucleari, ecc., non è difficile prevedere che non vi saranno cento risposte: molti si dichiareranno incompetenti e preferiranno delegare ai “tecnici” giudizi e soluzioni.

Sulla droga avremo invece cento risposte: tutti si ritengono in grado di dare un parere, sia pure sbrigativo o semplicistico; nessuno riconosce onestamente di non poter giudicare. Ciò non è dovuto certo solo alla presunzione e alla superficialità, ma anche e soprattutto ad un massiccio condizionamento culturale, per cui esprimere un parere sulla droga è un vero e proprio “obbligo morale”, basato sul postulato che “la droga” (senza aggettivi né specificazioni) è sempre e comunque la quinta essenza del “male”.

All’interno di questo che potremmo definire “postulato etico”, coesistono posizioni apparentemente contraddittorie, grossolane o sofisticate, autoritarie o progressiste, di destra o di sinistra: per intenderci, da chi sostiene che gli spacciatori vanno fucilati e i “drogati” messi tutti in galera in regime di “tacchino freddo”, a chi propone sofisticate strutture e tecniche di disintossicazione, naturalmente non coatta (dandosi per scontato che tutti i tossico-dipendenti vogliono disintossicarsi). Posizioni diverse, accomunate da una tendenza di fondo: quella di ergersi virtuosamente in una “lotta alla droga” intesa come contrapposizione fra Male e Bene, anziché considerare la subalternità del dato farmacologico rispetto alla realtà e relatività della condizione umana di chi della droga fa uso.

Il “postulato etico” non è dominante solo a livello di “uomo della strada” ma anche nelle istituzioni, nella cultura, negli operatori specializzati (medici, psichiatri), fino ai livelli supremi della Organizzazione Mondiale della Sanità, i cui pregiudizi hanno a tal punto oscurato ogni parvenza di dignità scientifica da definire “narcotici” sostanze come gli allucinogeni, i derivati della coca e la cannabis.

Io credo che su questo punto essenziale non si è abbastanza riflettuto. Le storture e le magagne della bistrattata legge 685 (…) rientrano nello spirito e nella lettera della Convenzione Unica dell’ONU del 1961, che costituisce una sorta di legge-quadro supernazionale. Una legislazione che è così intimamente legata ad una interpretazione “esorcistica” di un fenomeno da prescrivere tassativamente  sanzioni penali per i consumatori di droga, da non preoccuparsi che tali prescrizioni abbiano portato alcuni Paesi ad emettere regolarmente sentenze mostruose (ricordo un giovane umbro recentemente condannato a 30 anni di galera in Turchia per il possesso di 100 o 200 anni di hashish). Una legislazione iniqua, imbecille e razzista che decreta nel 1974 l’inizio del proibizionismo della cannabis nel Nepal (dove tale sostanza è stata usata tradizionalmente da millenni), ignorando (o ben sapendo?) che ciò significa incentivare l’uso e abuso di alcol, e dimenticando che giusto un anno prima, nel 1973, il possesso della marijuana è stato decriminalizzato nello stato dell’Oregon. Una legislazione talmente screditata da accettare senza batter ciglio che un altro stato Usa, l’Alaska, legalizzi a tutti gli effetti la produzione e il possesso di marijuana nel 1975.