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Oggi sono circa 400.000 le persone che vivono nelle prigioni dei paesi dell’Unione europea. I paesi europei non sono tuttavia quelli che ricorrono più volentieri alla carcerazione dei delinquenti, stante che nell’UE ogni 100.000 abitanti il numero di detenuti oscilla intorno a 90, (sono invece 470 negli Stati Uniti e raggiungono i 1.000 nel Texas). Pierre Pradier, deputato europeo dei radicali francesi, ha elaborato una relazione sulla situazione delle carceri che il Parlamento Europeo ha adottato il 17 dicembre 98. Nella risoluzione ci sono indicazioni significative, come la richiesta agli Stati dell’Unione di osservare le raccomandazioni del Comitato per la prevenzione della tortura e di altre pene disumane e degradanti (nel suo ultimo rapporto l’Italia è messa sotto accusa perché il regime carcerario speciale per esponenti della criminalità organizzata, il 41 bis, viola fondamentali diritti umani); di mantenere il carattere di eccezionalità della carcerazione preventiva “che in nessun caso può essere utilizzata come mezzo per ottenere confessioni”; di applicare pene sostitutive, in particolare per pene brevi e per i tossicodipendenti; di dare ai detenuti la possibilità di effettuare “un lavoro degno e ben retribuito”. Fuoriluogo ha incontrato il relatore e gli ha posto alcune domande. 400.000 persone in Europa stanno attualmente in prigione. E’ sempre necessario privare della libertà una persona che sbaglia ? A torto o a ragione, per mancanza di immaginazione e/o di coraggio, per routine o pigrizia intellettuale si annette a questa sola funzione punitiva un valore “sacro”. Ma sappiamo oggi che la prigione non assolve correttamente le funzioni che le vengono tradizionalmente assegnate. Certo essa priva effettivamente il condannato della sua libertà e protegge le sue potenziali vittime durante il tempo in cui viene scontata la pena. Per il resto la preparazione al ritorno alla vita familiare, professionale e sociale, la formazione, l’educazione e l’istruzione, tutto ciò resta estremamente deficitario anche se sono stati compiuti grandi progressi. Si può tracciare l’identikit di chi va in prigione? Le prigioni sono popolate da uomini e donne (queste ultime rappresentano meno del 10% della popolazione detenuta) i cui redditi sono spesso assai inferiori alla soglia di povertà, persone poco istruite, sprovviste di un impiego stabile, di punti di riferimenti morali o civici, senza legami familiari o affettivi e che spesso sono già vittime della delinquenza prima ancora di diventarne attori. Una schiacciante maggioranza (95%) dei detenuti è interessata almeno da tre di questi cinque criteri. Avviene così che la società li punisca per atti da cui non ha saputo proteggerli. In Italia c’è un grave problema di sovrappopolazione carceraria. Questo problema esiste anche nel resto d’Europa? Il fenomeno si è aggravato in questi ultimi anni e riguarda la quasi totalità dei nostri paesi. Le conseguenze sono spesso disastrose, perché rendono impossibile o difficile l’applicazione di misure socio-educative, che pure formano parte integrante dei compiti dell’istituzione penitenziaria. Una delle soluzioni proposte per far fronte a tali condizioni spesso inaccettabili è la costruzione di nuovi istituti di pena. Si tratta di sostituire con edifici nuovi costruzioni vetuste, inadeguate o insalubri e su ciò si è tutti d’accordo. Ma c’è il pericolo di costruire impianti supplementari che saranno rapidamente saturati, senza dare la priorità al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti. C’è chi propone di affidare ai privati la gestione degli istituti penitenziari. Che cosa ne pensa? E’ importante sottolineare il ruolo insostituibile e la responsabilità dello stato nel trattamento inflitto ai detenuti. La privatizzazione dell’istituzione penitenziaria è stata talvolta caldeggiata per esigenze di “modernità”. Ma mi sembra estremamente pericoloso e del tutto contrario ai costumi europei che lo Stato si disinteressi della sorte dei suoi detenuti e subappalti l’amministrazione degli istituti di pena a imprese, i cui interessi non coincidono con quelli dell’intera società. Che cosa si può fare per ridurre la popolazione detenuta? Intanto limitare la carcerazione preventiva, che dovrebbe essere una misura eccezionale e invece è diventata la regola. Occorre frenare questa pericolosa deriva. La situazione è paradossale perché la quasi totalità dei magistrati da noi consultati sono d’accordo nel deplorare l’eccessivo ricorso e la durata della detenzione preventiva, nonché le condanne che implicano pene sempre più lunghe. Ma sono questi stessi magistrati a prendere le decisioni che creano questo stato di fatto. Quanto alle persone condannate definitivamente, i tribunali dovrebbero modellare l’esecuzione della pena, facendo ricorso quanto più è possibile alle pene alternative al carcere, con l’obbiettivo della risocializzazione del detenuto, e applicando con una certa larghezza misure come la libertà condizionale. Un altro grande problema è quello legato alle condizioni sanitarie nelle carceri… La salute dei detenuti deve essere oggetto di un’attenta sorveglianza. Molti sono i malati in carcere, dai tossicomani agli alcolisti estremi ai malati di AIDS. Peraltro il sovraffollamento e le precarie condizioni sanitarie degli istituti favoriscono il diffondersi dell’infezione HIV, dell’epatite B e C, e altre malattie come la tubercolosi. E’ da notare in proposito la soluzione adottata in Francia, sostituendo il corpo dei medici penitenziari con un sistema di cure affidato alla sanità pubblica: in tal modo i detenuti possono beneficiare delle stesse condizioni di cura riservate agli altri cittadini.

(La risoluzione adottata dal PE può essere richiesta alla redazione di Fuoriluogo ed è presente sul sito Internet del Parlamento Europeo: www.europarl.eu.int)