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Molti osservatori hanno notato come il Rapporto annuale per il 2007, presentato dall’Incb in occasione del meeting di Vienna, mostri alcune timide aperture rispetto al ruolo di «cane da guardia» delle convenzioni internazionali sulle droghe tradizionalmente assunto da questo organismo dell’Onu. La rete europea International Drug Policy Consortium (Idpc), con base in Gran Bretagna, ha dedicato al Rapporto 2007 una lettura approfondita.
In particolare, viene dato atto all’Incb di avere richiamato il concetto di «proporzionalità» delle sanzioni. L’International Drug Policy Consortium non invoca la modifica dei trattati internazionali, per altro impraticabile sul piano concreto (cfr. Cindy Fazey, Fuoriluogo, aprile 2003), ma si limita a far notare che gli obblighi derivanti dai trattati sulle droghe non autorizzano a violare altri trattati internazionali, non meno importanti, che sanciscono la tutela dei diritti umani come diritti fondamentali della persona. Si evidenzia però che nella versione definitiva del Rapporto è sparito il concetto di «flessibilità», in relazione al modo in cui gli stati sono chiamati ad applicare le Convenzioni. La versione finale parla invece più prudentemente di «congruenza».
Se il Rapporto 2007 individua tre settori cui gli stati membri sono chiamati a prestare una particolare attenzione (la condizione nelle carceri; il rischio di atteggiamenti discriminatori nell’attività di contrasto e punizione; la proporzionalità della sanzione erogata), sono molti i punti che vengono taciuti. L’International Drug Policy Consortium ne individua alcuni: le violazioni della privacy, gli arresti, le incarcerazioni e le uccisioni illegali nell’ambito delle operazioni antidroga; le discriminazioni nell’applicazione delle leggi contro la droga ai danni, ad esempio, di particolari fasce di consumatori di sostanze, o di particolari gruppi etnici; il ricorso a misure aggressive di eradicazione delle colture con fumigazioni aeree; il ricorso a pene sproporzionatamente severe per chi commette reati di droga, compresi lunghi periodi di incarcerazione, o persino la pena di morte, per possesso o piccolo spaccio.
«L’Incb – si osserva – in questo Rapporto non tenta in alcun modo di richiamare l’attenzione su queste situazioni, né di chiedere agli stati membri di intervenire per impedire gli abusi».
In tutto il Rapporto 2007, i consumatori sono definiti «drug abusers», un linguaggio «stigmatizzante» e «disumanizzante»; vengono citati i significativi sequestri di sostanze stupefacenti avventi in Vietnam e Cina nel 2007, ma si «evita di commentare il mancato rispetto dei diritti umani» in entrambi i paesi; si evita inoltre di denunciare gli abusi perpetrati in nome della guerra alla droga in Brasile (nella prima metà del 2007, 449 persone sono state uccise durante le operazioni di polizia, e non vengono risparmiati nemmeno i ragazzi più giovani, reclutati dalle bande criminali), piuttosto che in Thailandia (paese che proprio in questi giorni ha annunciato una nuova e, si teme, cruenta
“war on drugs”).
Una particolare attenzione merita poi il trattamento riservato agli usi tradizionali della foglia di coca (cfr. la scheda a p. III), cui viene negata ogni legittimità nonostante la Dichiarazione Onu sui diritti dei popoli indigeni, adottata nel 2007.
Per la prevenzione dell’Hiv il Rapporto 2007 cita, a differenza che in passato, l’offerta di siringhe sterili. Ma quando vengono chiesti servizi adeguati per i tossicodipendenti detenuti, non si parla di scambio siringhe, nonostante l’Oms si sia espresso a favore di questa misura sanitaria. Insomma, troppe omissioni: il rispetto dei diritti umani, insiste la rete Idpc, è essenziale e obbligatorio.
(m. i.)