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E chiamiamola pure impropriamente sentenza «Rasta», ma non possiamo attribuirle una funzione innovativa o alternativa o ancora, addirittura «creativa» che una semplice lettura della motivazione eccellente e piana non consente. Nella giustizia penale, almeno fino ad ora, il testo delle Leggi si interpreta in relazione al caso concreto, senza applicazioni robotiche e senza generalizzazioni. La 6ª Sezione Penale della Corte di Cassazione (sentenza «Rasta») non ha assolto o condannato il megaspinello o l’adepto rasta, ma ha annullato una sentenza di condanna della Corte d’Appello di Perugia basata solo sul superamento del limite quantitativo tabellare detenibile, rinviando, per la decisione del caso concreto, alla Corte d’Appello di Firenze.

Il caso concreto appunto, e quindi attenzione ai particolari: condanna a un anno e quattro mesi di carcere e multa per illecita detenzione a fini di spaccio, nel dicembre 2004 di tale G.G., cittadino di Terni, adulto, trovato dai carabinieri con poco meno di un etto di marijuana mentre dormiva – di sonno naturale – nella propria autovettura, regolarmente parcheggiata su una piazzola di sosta, consegna immediata e spontanea ai carabinieri di una busta con la marijuana, non preconfezionata in dosi, ma sfusa, precisazione immediata di G.G. del possesso per uso esclusivamente personale, dichiarazione di appartenenza alla religione Rasta.

Perché una condanna, in questo caso, non è giusta? Dice la Cassazione: «Non sembra che i giudici abbiano operato una logica ricostruzione del fatto in relazione al comportamento dell’imputato… È semplicistico il richiamo al dato ponderale della sostanza, trascurando di valutare le circostanze di tempo, luogo e modalità comportamentali dell’imputato…». Insomma: non si può condannare solo per aver superato la quantità massima detenibile (Qmd)! Questa infatti, rappresenta solo uno dei tanti criteri per capire se la detenzione abbia uno scopo di uso personale, ma il giudice deve valutare anche nel caso concreto, «in particolare» (come dice la Legge): le modalità di presentazione della sostanza o il peso lordo complessivo o il confezionamento frazionato o altre circostanze dell’azione. E dunque, non basta l’accertamento che si sia verificato un solo parametro perché la detenzione della sostanza divenga penalmente rilevante. Nell’ambito di questi criteri deciderà la Corte d’Appello di Firenze tenendo conto anche che G.G. teneva tutto in un sacchetto (modalità di confezionamento) ed è seguace dei Rasta (la condotta come circostanza dell’azione). Del resto, le sentenze della Corte di Cassazione sono tutte uguali sul principio di diritto: bisogna tener conto dei vari criteri indicati dalla Legge.

Non si vede dove siano lo strabismo giuridico, il pericolo di conversioni per la Chiesa Cattolica, lo stravolgimento della normativa sulla cessione (secondo il Dipartimento antidroga), la destabilizzazione di pilastri di laicità (secondo il Sottosegretario alla Salute). Basta leggerle le sentenze! Il resto è tutto colore e polemica strumentale.
Francesco Maisto