Non è facile rispondere all’articolo dell’onorevole ministra della sanità apparso sul Riformista del 4 giugno, perché non appare chiara l’ottica che ispira l’articolo, né le finalità. Ci proviamo.
La ministra propone «azioni concrete e di provata efficacia in altri paesi». Il kit non risulta avere queste caratteristiche. Credo che si sappia, al di là di strabilianti consensi sul supremo valore della famiglia, che per moltissime famiglie il problema dell’educazione dei figli, compreso l’utilizzo di droghe non è certo primario. L’idealizzazione è commovente, ma chi lavora sul campo ha l’esperienza di quanto sia dolorosa la situazione di molti ragazzi, per i quali la droga, l’alcol, il tabacco non sono certo questioni di discussione in casa. E qui sta il problema, che il kit non aiuta ad affrontare. E poi, una volta usati con esito positivo, che si fa? A chi ci si appoggia? Ai Sert, alle comunità terapeutiche, ai medici di base? E su che linea? O non sarebbe meglio cominciare a mettere in piedi iniziative alle quali consumatori, e non solo giovani, loro familiari, educatori possano rivolgersi per impostare un discorso di presa in carico, di accompagnamento? E magari anche uno studio della realtà psicofisica di quella persona, con delle risposte e proposte decenti, che non siano solo tautologiche (hai usato droga, che fa male, smetti)? Che sappiano attendere, ed aiutare ad evolvere?
«Penso sia indispensabile condurre un grande studio scientifico che tenga conto degli effetti delle vecchie e nuove droghe, legali e illegali»: è la ministra che parla, l’unica che lo può fare. Lo faccia. Ha già un gruppo di esperti: lo consulti, lo cambi, magari. Intanto proponga di inserire insegnamenti adeguati nelle facoltà Mediche, Psicologiche, di Studi sociali, di Scienza della comunicazione, in modo che dei saperi si diffondano, e si possa creare un mondo in grado di intervenire ed interagire con il problema droga. Riveda il 118, i servizi di pronto soccorso, così che quando arriva qualcuno con problemi legati all’uso (e non solo giovani, signora ministra, non solo giovani!), siano in grado di cogliere segni, interpretarli, curarli e aiutare gli assuntori a relazionare le sostanze con gli effetti. O è preferibile che siano i giornalisti, i politici, gli ex tossicodipendenti a dettare le linee? O è preferibile continuare a tenere alto l’allarme senza creare truppe in grado di agire?
«Chi si droga non è un criminale ma una persona che va aiutata e sostenuta», scrive la ministra. E i Nas, che vorrebbe inviare nelle scuole, una volta documentato il possesso, che fanno? Fischiettano, guardano da un’altra parte? O, come credo sia loro dovere, denunciano? E dopo la denuncia, che si fa?
Noi non sappiamo bene cosa si deve fare con i giovani: sappiamo solo che il problema delle assunzioni è maledettamente complesso, vasto, e che affrontarlo chiama complessità di analisi e di proposte, e chiama documentazione: senza nulla togliere ai giovani, oramai il consumo è diffuso anche presso adulti, ed anche per questi bisogna cominciare a pensare proposte, senza arrivare a scenari che stanno fra il comico ed il drammatico. Se i gruppi di esperti che i ministri della sanità e della solidarietà sociale hanno nominato pochi mesi fa non sono reputati all’altezza dei compiti che devono affrontare, vengano aboliti e se ne creino altri. Ma, per favore, sia istituzioni nazionali che locali (di sinistra e di destra) prima di parlare, si consultino con gli esperti e li facciano lavorare.