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L’ordine regna nel Sert di Manduria, in provincia di Taranto. Anni di impegno e di battaglie per farne un servizio attento ai bisogni dei tossicodipendenti rischiano di essere vanificati. Nel timore che questo avvenga Loredana, una delle utenti del servizio, si è rivolta a noi per raccontare la storia “tossica”di questo angolo di Puglia. Il Sert di Manduria, come purtroppo ancora tanti del nostro paese, somministrava il metadone solo nell’ambito di terapie a scalare, che venivano interrotte alla prima ricaduta, documentata dalla positività dell’analisi dell’urina. L’orario della distribuzione era estremamente limitato. Ai benefici dell’affidamento in prova in alternativa al carcere i tossicodipendenti potevano accedere solo se disposti ad entrare in comunità, poiché il Sert non ammetteva programmi di trattamento metadonico. Dunque un servizio fortemente orientato verso un’unica offerta riabilitativa, che finisce per gestire in modo punitivo o premiante il farmaco sostitutivo e quindi per selezionare, più che accogliere l’utenza. E’ il rischio che si corre quando la “cura” viene intese esclusivamente come conseguimento dell’astinenza, prescindendo dalle diverse storie dei consumatori e dal loro diritto a vedere tutelata la propria salute, qualunque sia il loro stile di vita. La particolarità della vicenda di Manduria è nel movimento che gli utenti del Sert, aiutati da alcuni operatori, in particolare dal sociologo del servizio, hanno saputo organizzare, per rivendicare i propri diritti. Si è così attivata una rete di relazioni e di collaborazioni che hanno coinvolto molte associazioni attive nella provincia di Taranto. Ne è nato un comitato di utenti del Sert, che ha promosso diverse petizioni. “Molto spesso siamo riusciti ad uscirne vittoriosi – racconta Loredana – anche se ci siamo attirati molte antipatie. Il servizio si è visto costretto a prolungare l’orario di distribuzione del metadone; a praticare terapie corrette basate su presupposti scientifici e non ideologici; a creare una sala d’attesa”. Già, perché la sala d’attesa era stata improvvisamente chiusa. In presenza del cocente sole pugliese (che d’estate davvero non scherza) o sotto la pioggia, i consumatori erano costretti ad attendere il proprio turno di accesso al servizio in strada, in una zona del paese molto frequentata, senza nessun riguardo per la loro riservatezza. Le antipatie devono davvero essere state tante se, come ricorda Gianfranco Mele, il sociologo del servizio, “non c’è stata nessuna possibilità di dialogo con chi era su posizioni diverse dalle nostre: questa gente si è irrigidita e ha cercato in tutti i modi di criminalizzare le nostre rivendicazioni”. “L’ultimo problema che stavamo affrontando riguarda le cartelle cliniche che il servizio si ostina a non dare ai pazienti”, ricorda Loredana. Ma le richieste comprendono anche l’assistenza domiciliare ai tossicodipendenti malati e in trattamento metadonico e la possibilità che il pronto soccorso presti il proprio servizio agli utenti del Sert negli orari di chiusura di questo. Nel frattempo Gianfranco Mele è stato trasferito in un’altra città e ad altre mansioni. Non possiamo sapere quale sarà il futuro del Sert di Manduria, se le richieste saranno accolte o se, come teme Loredana, il Sert tornerà a farsi sordo alle ragioni dei propri utenti. Di certo c’è che, quando si attiva la soggettività dei consumatori, c’è anche più scambio di conoscenze e più efficacia delle terapie. Non è questa la ragione sociale dei servizi pubblici per le tossicodipendenze?