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Nella maggior parte dei paesi si adotta per la cannabis la politica della completa proibizione. Ciò significa che la coltivazione, la produzione, il trasporto, la vendita, il possesso ed il consumo della sostanza sono considerati illegali, e scattano di conseguenza sanzioni che variano secondo le legislazioni e la quantità di droga detenuta. Queste politiche si applicano senza distinzioni all’uso ricreativo e a quello medico della cannabis. La messa al bando dell’uso ricreativo della cannabis ha costituito per decenni un ostacolo all’utilizzazione in campo farmaceutico della sostanza. Va ricordato che la cannabis è stata considerata dalla medicina occidentale del secolo scorso e della prima parte di questo secolo come una sostanza di una certa utilità, ed è rimasta nella farmacopea americana fino alla fine degli anni ’30. Con la scoperta di nuove e più efficaci preparazioni medicinali, e l’avvento di una politica ostile alla sostanza da parte delle autorità federali di polizia degli Stati Uniti, la cannabis è stata soppressa dal prontuario farmaceutico. Sono trascorsi ventitré anni dal primo studio sperimentale che ha dimostrato i vantaggi dell’impiego terapeutico della sostanza: da allora si sono registrate numerose conferme dei benefici della canapa e della sua relativa inoffensività. Ma la raccolta dei dati sull’efficacia medica della cannabis è stata seriamente ostacolata dalle restrizioni poste al suo impiego ricreativo. A metà degli anni ’90 vi sono stati importanti progressi nella comprensione dei meccanismi biologici fondamentali dell’azione della sostanza: questi suggeriscono che la cannabis e i composti da essa derivati possano considerarsi potenziali sostanze terapeutiche per il futuro. Poiché la maggior parte dei paesi hanno davanti a sé la prospettiva di un regime di proibizione totale della sostanza per uso ricreativo ancora per molti anni, se non addirittura decenni, è possibile che la cannabis sia utilizzata e regolamentata a fini terapeutici, nonostante l’ostilità che circonda questa droga? Anche se si registrano dichiarazioni piuttosto stravaganti sull’efficacia terapeutica della sostanza, peraltro controbilanciate da asserzioni altrettanto discutibili in senso opposto, è difficile negare un ruolo alla cannabis nella medicina moderna, almeno modesto, nonostante manchi ancora uno studio sistematico in questo campo. Peraltro, se si incrementasse la ricerca, è probabile che uscirebbe riconfermata l’evidenza scientifica sui benefici terapeutici della cannabis. L’uso terapeutico della cannabis è ostacolato da altri elementi, oltre a quelli politici, e sorprendentemente di questi poco si parla. La somministrazione di sostanze per inalazione mista a particelle di fumo è quantomeno senza precedenti. Sino a quando non verrà trovata una modalità di somministrazione con i vantaggi del fumo (facile assunzione, rapidità degli effetti), ma senza i suoi svantaggi, i medici saranno sempre riluttanti a prescrivere questa sostanza ai pazienti. Inoltre la molteplicità dei composti psicoattivi presenti nella famiglia dei cannabinoidi comporta alcune conseguenze: ogni impresa farmaceutica che dedichi risorse considerevoli per scoprire preparati più efficaci e con minori effetti collaterali potrebbe trovarsi di fronte alla concorrenza di un’altra casa farmaceutica, che identifichi un composto strettamente imparentato, e con caratteristiche simili, senza però dover spendere risorse notevoli nella ricerca e nello sviluppo del prodotto. Il modo più ovvio per gestire l’uso terapeutico della cannabis in un contesto di totale o parziale proibizione è un regime di esenzione speciale dalle sanzioni penali per i pazienti che rispondano a determinati requisiti. L’esenzione permetterebbe loro di coltivare la cannabis, o di acquistarla sul mercato nero, sempre esclusivamente per il proprio consumo. Queste misure eliminerebbero il timore di esser perseguiti per le necessità di cura, ma rimarrebbero problemi, almeno per alcuni pazienti: non tutti sarebbero probabilmente in grado di coltivare la canapa, e gli alti prezzi del mercato illegale rappresenterebbero un grosso ostacolo per i malati più poveri. Un’alternativa è costituita dall’offerta regolata. Questo è il sistema adottato negli Stati Uniti, seppure per un numero di pazienti veramente insignificante. La somministrazione regolata offre il vantaggio della coerenza con le modalità di distribuzione di altri farmaci, ma si tratta di un metodo costoso per una pianta che può essere prodotta in modo facile e a basso costo. Senza dubbio la maggior parte dei paesi che opti per l’uso terapeutico della cannabis, sceglierà la forma della somministrazione regolata. Ma quali pazienti dovrebbero godere di un’esenzione speciale o della somministrazione regolata? I criteri salienti dovrebbero identificare pazienti terminali o con gravi stress, per i quali non siano disponibili trattamenti efficaci; e pazienti in condizioni di stress o terminali, per i quali i trattamenti convenzionali si siano dimostrati inefficaci. I candidati più probabili alla somministrazione regolata di cannabis, secondo questi requisiti, sarebbero i pazienti ammalati di cancro o di gravi infezioni da HIV con notevoli perdite di peso; i pazienti in chemioterapia, con sintomi di nausea e vomito, e i pazienti affetti da glaucoma, refrattari ai trattamenti convenzionali. Sarebbe utile se si raggiungesse un accordo sui criteri per selezionare questi pazienti, e se si trovassero modalità di assunzione meno nocive dell’inalazione per fumo.

*direttore dell’Alcohol and Drug Service, del St. Vincent Hospital, Darlinghurst Australia