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I fondi per le politiche sociali arrivano dallo Stato alle Regioni senza vincoli sulla destinazione. La sanità viaggia a passi veloci verso la fine della legislazione concorrente: le regioni costruiranno – in maniera ancor più differenziata di quanto non accada già oggi – i loro sistemi sanitari e sociali. E con il crescere dei poteri dalla devolution, crescono anche tra molti operatori e utenti dei servizi per le dipendenze aspettative contraddittorie, tra nuove possibilità offerte dall’autonomia locale e, viceversa, preoccupazioni per sistemi, servizi e diritti diseguali tra i cittadini del paese. È forse utile, in questo scenario, leggere ciò che già oggi ci dicono alcuni dei dati raccolti nella Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia nel 2003 (vedi anche Fuoriluogo, settembre 2004), che offre, se non un capitolo ad hoc, almeno una serie di dati disaggregati per regione, riguardanti l’offerta dei servizi e l’utilizzo del fondo nazionale. L’offerta terapeutica e i servizi. Un buon esempio di differenza da devolution è quello delle terapie metadoniche integrate con sostegno psicosociale, perché notoriamente è la “combinazione” che si è dimostrata più efficace. Afronte di un valore medio nazionale di poco inferiore al 50% di utenti trattati con questa modalità, c’è un picco di trattamenti integrati in Sardegna, Trento, Umbria, Campania, un’area che supera di poco il valore medio (Piemonte, Friuli, Toscana, Calabria e Bolzano), le altre regioni sono appena al di sotto di questo valore, e infine c’è un picco negativo (Lombardia, Veneto, Puglia, Sicilia, Molise e Liguria). Rispetto a quest’ultimo è da notare che la non integrazione si gioca a favore del solo trattamento psicosociale senza il supporto dei farmaci, e non viceversa, come risulta da altri dati forniti dalla relazione stessa (con l’unica eccezione della Liguria, che risulta al disotto della media nazionale dei trattamenti che escludono i farmaci). Mappa discontinua anche per quanto concerne la prescrizioni di altri farmaci: la buprenorfina (i dati sono limitati alle regioni che li forniscono, per ora 13), è prescritta (in percentuale) massicciamente in Basilicata, Molise e Sicilia, poco o nulla in Toscana e Liguria; il naltrexone in Lazio soprattutto, e poi Molise e Veneto ed è praticamente sparito in Lombardia e Puglia, Trento e Bolzano; e ancora la clonidina in Sicilia, Valle d’Aosta, Toscana e Liguria, quasi inesistente in Sardegna, Lazio, Trento e Bolzano, Molise. Dunque, differenze non da poco. Cosa le determina? Diverse tipologie di utenti e di consumi? Non sembra, a leggere i dati regionali sulle sostanze d’abuso o su altre variabili che possono influenzare le scelte terapeutiche, come le fasce d’età: le mappe del consumo non registrano differenze così rilevanti. E allora, le “filosofie” dei servizi? Le direttive degli uffici regionali? E cosa dicono, gli utenti, dell’offerta terapeutica? Funziona? A cosa rispondono, insomma, i diversi sistemi regionali? Questo, tra le tabelle, non c’è, ma sarebbe un’indagine utile, insieme ad una che evidenziasse correlazioni tra scelte terapeutiche locali e loro esiti. Per quanto concerne il Fondo nazionale e l’utilizzo che le Regioni ne fanno, la Relazione offre dati scarni, organizzati in tabelle che riguardano gli anni dal ‘99 al 2003. Molti campi restano non compilati, la Sicilia restituisce una scheda bianca. Ma qualche osservazione “indiziaria” si può fare egualmente. I dati comuni a tutte le Regioni riguardano ciò in cui non si investono le risorse del Fondo nazionale: ricerca, sperimentazioni di trattamenti e (con poche eccezioni) modelli di rilevazione dati. Anche per quanto riguarda i target c’è qualche omogeneità: si lavora poco sui giovani under 19 e ancora meno si interviene con gli operatori della scuola, un dato forse preoccupante, se tanta enfasi, viceversa, viene poi annunciata sulla prevenzione primaria. Amacchia di leopardo, al contrario, la distribuzione dei fondi tra i diversi attori: un dato rilevabile (anche se qui basato sul numero dei progetti, e non su una comparazione delle risorse destinate, difficile da elaborare per la grande disomogeneità e incompletezza dei dati riportati), è quello relativo a una uscita di scena i molte situazioni locali dei Comuni come titolari di progetti. Avviene in Piemonte e in Campania, in Lombardia e in Abruzzo, con una controtendenza di segno positivo in Sardegna. Il fondo nazionale non sembra più riguardare le amministrazioni locali, realtà in parte dovuta alle trasformazioni relative alle competenze su altri finanziamenti (pensiamo alla quota di risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali), ma non per questo comunque meno preoccupante, se si pensa alla qualità di innovazione e sperimentazione che i progetti ex legge 45/99 dovrebbero avere e al protagonismo possibile (e auspicabile) dei Comuni. Le Asl mantengono la loro posizione privilegiata tra gli attori dei progetti approvati, con qualche flessione soprattutto in Lombardia, Toscana, Campania e Calabria, mentre il privato sociale vede crescere il numero dei suoi progetti, soprattutto in Lazio, Abruzzo, Valle d’Aosta, con l’eccezione della Sardegna e una sostanziale stabilità nelle altre Regioni. Anche sul piano dei dispositivi e delle procedure relativi alla programmazione sul territorio, la geografia è variegata: la maggior parte delle Regioni del centro-nord hanno livelli di programmazione soprattutto di zona, in seconda battuta a livello municipale e meno spesso provinciale; il sud, al contrario, sembra aver sviluppato in modo insufficiente modalità di programmazione partecipata, tanto a livello di piani di zona quanto a livello comunale (con l’eccezione della Calabria). È questo un aspetto significativo, se si pensa che negli interventi sulle dipendenze – siano essi di prevenzione, cura e reinserimento o riduzione del danno- hanno una forte rilevanza le dimensioni comunitaria e di rete. Particolarmente se aspirano ad essere innovativi.