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L’Associazione Luca Coscioni aveva dato al suo ultimo congresso un titolo: “Dal corpo dei malati al cuore della politica”. Questo purtroppo non si è verificato. La politica si è rinchiusa in sé stessa, lontana e insensibile, preoccupata – a destra e a sinistra – di non turbare i rapporti con la Chiesa. La vicenda di Piergiorgio Welby è invece arrivata, io credo, al cuore della coscienza civile e della responsabilità religiosa di questo paese.
Non deve perciò meravigliare che, nel silenzio imbarazzato e vile dei leader politici cosiddetti laici, a difendere il diritto di Piergiorgio di interrompere l’accanimento terapeutico cui lo inchiodava il respiratore automatico e la decisione di un medico coraggioso di aiutarlo a farlo senza sofferenza, siano stati, all’interno del Parlamento, il cattolico Ignazio Marino e, all’interno della Chiesa, l’autorevole voce del cardinal Martini.
Perché il cardinal Ruini, chiudendo la porta della Chiesa al funerale religioso richiesto da Mina Welby, ha deciso di sfidare fino a questo punto la coscienza civile e la sensibilità religiosa della maggioranza degli italiani e di tanti cattolici? Come già ieri sulla fecondazione assistita e sulla ricerca scientifica sulle staminali embrionali, quando riuscì a tramutare con l’astensionismo una più che probabile sconfitta in una delegittimazione dello stesso diritto di votare e decidere sulle questioni etiche, oggi il “politico” Ruini, indifferente alla impopolarità delle sue scelte, si preoccupa esclusivamente di rafforzare il diritto di veto che la Conferenza episcopale si è conquistata a destra e a sinistra dello schieramento politico su tali questioni. E lo fa, non giocando in difesa, per bloccare una legge sull’eutanasia, ma contrattaccando sul terreno delle interpretazioni riguardanti la sospensione dell’accanimento terapeutico e delle nuove norme sul testamento biologico (le direttive anticipate che ciascuno deve poter dare). L’attacco sferrato in piena regola, avvalendosi di tutti gli strumenti di influenza e di condizionamento, riguarda infatti in tutta la sua estensione il principio dell’autodeterminazione del malato cui non si riconosce il diritto di porre termine alle proprie sofferenze e il suo corollario: la conquista normativa del consenso informato. Di qui la pretesa di classificare la scelta di Welby non come sospensione dell’accanimento terapeutico ma contro ogni evidenza come eutanasia attiva, suicidio assistito o omicidio del consenziente.
Ruini fa appello alle “scelte condivise”, invocate anche da Napolitano. Ma le scelte che è disposto a condividere sono solo quelle che impongano il riconoscimento del potere esclusivo della Chiesa sulle coscienze e sulla vita stessa delle persone e il ripristino della prevalenza del potere del medico sulla volontà del malato.
Eutanasia etimologicamente significa buona morte (sorella morte la chiamava San Francesco). Il suo opposto è “cattiva morte”, l’unica riservata al nostro destino se prevalessero le pretese di Benedetto XVI e di Ruini, avanzate in nome di un Dio impietoso e proprietario. Ancora una volta dobbiamo batterci per liberare anche la Chiesa da una simile visione del rapporto fra Dio e l’uomo.