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“Un mondo libero dalla droga, possiamo farcela!”, era lo slogan scelto da Pino Arlacchi un anno fa per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle droghe. Obiettivo: l’eliminazione totale delle coltivazioni di droghe in dieci anni. Sarebbe stato più ovvio che a pronunciare quella frase fosse stato il generale Barry McCaffrey, capo della National Drug Control Policy americana, visto che proprio gli Stati Uniti sono il paese che operativamente mette in atto le politiche promosse dall’Onu. O forse sarebbe più onesto dire che Arlacchi fornisce, semplicemente, l’avallo della “comunità internazionale” alle scelte degli Usa nella prestigiosa cornice del palazzo dell’Onu.

Proprio McCaffrey si è recato quest’estate in Colombia, seguito a breve distanza di tempo dal sottosegretario di Stato Thomas Pickering e da una delegazione del Congresso. La situazione attuale della Colombia è estremamente grave. Da pochi mesi il nuovo presidente Andres Pastrana ha avviato trattative di pace con la guerriglia della FARC (che controlla il 40% del paese): dopo l’euforia iniziale i colloqui si sono arenati, la FARC ha ripreso l’iniziativa militare e il popolarissimo giornalista Jaime Garzon, impegnato nelle trattative, è stato assassinato. Senza contare la forte recessione economica e gli enormi danni del terremoto di gennaio.

McCaffrey, che accusa la FARC di essere una “narco-guerriglia”, ha continuato il suo viaggio nelle altri capitali sudamericane: nonostante le smentite sulla questione, il tema principale degli incontri è stato il peggiorare della situazione in Colombia e la possibilità di un intervento militare diretto degli Stati Uniti e di altri paesi. Gli americani sostengono di essere molto preoccupati per l’incremento (quasi il 50%) della presenza di droghe provenienti dalla Colombia nei mercati Usa (fatto che rende il problema colombiano una “questione interna”), della forza militare della FARC, del suo ruolo nel narcotraffico e dell’estendersi della sua azione anche ai paesi confinanti, in particolare il Venezuela (dove gli americani hanno importanti interessi petroliferi).

Tutti i maggiori protagonisti della politica estera americana hanno espresso la loro opinione sulla Colombia. In particolare sembrano emergere due posizioni in contrasto. Da un lato il Dipartimento di Stato, che attualmente rimane contrario all’idea di un coinvolgimento diretto: la Albraight ha espresso la sua posizione in un articolo pubblicato dal Washingtonpost, in cui si rinnovava la fiducia verso Pastrana e il tentativo di un accordo di pace. Non a caso, al contrario di McCaffrey, la FARC non veniva mai citata come “narco-guerriglia” e veniva espressa una chiara condanna dell’azione degli squadroni para-militari (il cui disarmo è posto come condizione da Tirofijo, leader della FARC). Sul fronte opposto il già citato zar della lotta alla droga (che giustamente fa il suo mestiere, cioè trova guerre da combattere) e i repubblicani, che continuano a delegittimare Pastrana (considerato interlocutore poco credibile), e che battono il tasto dell’aumento della presenza negli Stati Uniti di droghe provenienti dalla Colombia. Sembra evidente che lo sblocco delle trattative potrà rafforzare la posizione del Dipartimento, ma allo stesso tempo la posizione contraddittoria degli Stati Uniti le rende più complesse e difficili.

Di certo ci sono i finanziamenti all’esercito colombiano (solo quest’anno 258 milioni di dollari), le forniture di mezzi militari: da meno di un mese è stato creato un corpo speciale anti-narcos della polizia, addestrato da ufficiali americani con soldi americani, mentre sono già arrivati sei nuovi elicotteri da guerra “super Huey” (costo: un milione e mezzo di dollari l’uno) dei venticinque previsti. A presentarli in giugno in conferenza stampa era stato il comandante in capo del Comando Sud dell’esercito degli Stati Uniti Charles Wilhelm, anche lui in visita in Colombia. In questa conferenza stampa Wilhelm ha illustrato il nuovo quadro logistico, in chiave anti-narcos, di cui gli Stati Uniti si stanno attrezzando dopo la restituzione del Canale di Panama ai panamensi. Fallite le trattative con i panamensi per la creazione del “Multilateral Counternarcotics Center“, che avrebbe garantito la permanenza nel paese all’esercito statunitense, sono state organizzate installazioni militari a Porto Rico, in Ecuador, Aruba e Curaçao (colonie olandesi) da cui è possibile monitorare gli spostamenti della FARC.

Due sono le caratteristiche della strategia americana per il controllo militare della zona. La prima è l’utilizzo della lotta alla droga come giustificazione principale: il demone comunista è stato rimpiazzato da quello del narcotraffico. La questione delle droghe diviene quindi uno degli strumenti principali delle strategie geo-politiche degli Stati Uniti, tanto rilevante da rendere necessaria la mobilitazione militare. Il secondo è quello del richiamo alla natura “multilaterale” e regionale degli interventi predisposti: si è dato risalto ai colloqui che le delegazioni americane hanno avuto negli altri paesi latino-americani, dove si è dibattuto a lungo del problema Colombia. La volontà americana è quella di rendere collegiali (almeno nella forma…) le decisioni sulle misure che riguardano il continente, in modo da rendere più stretto il grado di collaborazione ad ogni livello, che sia quello politico, militare, economico.

Per il 2005 si prevede la creazione di una zona emisferica di libero scambio che potrebbe essere preludio alla creazione di una difesa integrata fra i vari paesi, considerati dagli Stati Uniti finalmente abbastanza affidabili e democratici, al di fuori della complicata Colombia (con qualche preoccupazione anche per il Venezuela di Chavez). Non a caso l’Argentina in questi mesi ha sollevato la questione della sua adesione alla Nato, che vede come un ulteriore passo nel mondo di quelli che contano. Quale migliore occasione per dimostrare di esserne degni se non quella di essere pronti ad assumersi “responsabilità regionali”?

Vedremo nei prossimi mesi quale scenario si configurerà. Intanto, un aereo militare americano è stato abbattuto nel territorio della FARC all’inizio di agosto, mentre svolgeva imprecisati compiti di “appoggio” all’esercito colombiano; il quotidiano argentino “Clarin” ha invece reso pubblici dei piani della CIA (la cui esistenza ovviamente è stata smentita) per invadere la Colombia da Perù e Ecuador.

Veramente incredibile, nell’ascoltare gli interventi di tutti coloro che fino adesso abbiamo citato, notare la scarsissima attenzione posta nei riguardi del milione e mezzo di profughi colombiani, in fuga dalla guerra (che in dieci anni ha fatto 35 mila morti): per loro due milioni di dollari in arrivo (un elicottero “Super Huey” e mezzo), contro i 238 stanziati dal congresso per il Kosovo. La pioggia di miliardi li ha mancati.