Negli ultimi anni andiamo assistendo all’impoverimento di fasce sempre più consistenti di popolazione, anche nelle cosiddette società del benessere. Nella vecchia Europa la crisi dello Stato sociale fa sì che un numero crescente di persone non trovi più sostegno in misure assistenziali garantite dallo stato: i tagli alla spesa sociale cominciano a far vedere i loro problematici effetti.
Il numero di persone che vive per strada nelle grandi città europee è in crescita e sempre più spesso si tratta di persone che fino a ieri conducevano una vita modesta ma “normale”.
Siamo di fronte ad una nuova sfida: non si tratta solo più di migliorare le difficili condizioni di vita di persone già colpite da fenomeni, a volte anche antichi di disagio e di emarginazione. È necessario creare un “fronte di resistenza” per evitare che un numero crescente di nuovi soggetti scavalchi la tragica soglia della povertà perché, una volta varcata questa soglia, è sempre più difficile trovare vie di ritorno. Ma quello che sembra cambiato è anche il rapporto stesso con la povertà, alla quale oggi più di ieri si guarda con un realismo rassegnato: si parla di razionalizzazione della spesa sociale. Di fatto si sta mettendo in crisi il sistema dei diritti sociali, finendo per accettare la povertà e le disuguaglianze sociali come fenomeni inevitabili.
Si pensa troppo facilmente che poco si può fare per combattere la povertà: le persone che vivono per strada sono diventate troppe e in fondo sono loro che hanno scelto di vivere così. Questo è evidentemente un pregiudizio che serve a mettere a tacere la coscienza. Come si può pensare che si possa ragionevolmente scegliere una vita così? Per strada si vive male e spesso si muore.
I poveri, inoltre, sempre più facilmente, sono avvertiti come una minaccia e non come uomini e donne che attraversano un periodo difficile della loro vita; la povertà sembra una colpa individuale e non un male sociale da combattere, dal quale non è facile mettersi al riparo. Ne consegue che gli stessi problemi sociali, come la presenza di persone senza dimora, l’immigrazione, vengono affrontati spesso solo nell’ottica dell’ordine pubblico. Per esempio si è fatto spazio un fastidio crescente verso chi chiede l’elemosina per strada: in molte città in Europa negli ultimi anni si discutono e sono stati approvati provvedimenti per impedire ai poveri di chiedere soldi per strada.
Si vorrebbe nascondere alla vista questi aspetti così visibili della povertà ma non si mettono in atto strategie per affrontare e risolvere i problemi che queste persone esprimono: è quello che è successo in tante città europee dove le persone che vivono in strada, nelle stazioni ferroviarie, sul greto dei fiumi o in baraccopoli improvvisate, sono state sgomberate e allontanate dai centri cittadini in nome della sicurezza e del decoro urbano senza dar loro alcuna sistemazione alloggiativa.
Per questo queste persone sono costrette a nascondersi in luoghi isolati a volte in situazioni di pericolo, sotto i ponti, lungo i binari ferroviari. Tanti ne incontra in queste difficili condizioni la Comunità di Sant’Egidio nelle distribuzioni serali di cibo in molte città. La conoscenza di tante storie di povertà e di emarginazione fa guardare con preoccupazione ad un approccio solo repressivo a queste forme del disagio sociale.
Sempre più spesso si parla di tolleranza zero verso questi aspetti della povertà di strada. In una simile prospettiva non sembra tanto importante capire le ragioni del disagio sociale o di eventuali comportamenti devianti: avviare politiche di intervento efficaci viceversa richiede nuove conoscenze, interventi complessi e tempi a volte lunghi, almeno quanto lunghe, complesse e dolorose sono le storie di emarginazione di tante persone.
Di fronte ad una realtà sociale sempre più complessa, a meccanismi economici perversi, a nuovi aspetti del disagio sociale non bisogna rinunciare a cercare nuove risposte che salvaguardino i diritti della persona, della sua dignità qualsiasi siano le sue condizioni, il suo passato.
Non c’è efficace lotta alla povertà di strada se non c’è la ferma convinzione che la vita di ogni uomo ha un eguale valore in qualunque parte del mondo sia nato, qualunque sia la sua condizione sociale, la sua età, la sua storia; che ogni uomo ha gli stessi diritti alla salute, al benessere per tutto il corso della sua vita. I poveri non sono un’altra razza o una categoria sociologica, sono uomini, anzi sono l’immagine vera dell’uomo e della vita, spogliata da tante cose che non contano.
L’accettazione passiva e colpevole delle disuguaglianze è un danno per tutti, per i poveri, ma anche per i ricchi perché è la negazione del valore incondizionato della vita anche quando è debole o sfigurata dal bisogno: questa accettazione è il principio dell’imbarbarimento e dell’odio. Di fronte alle sfide della povertà è necessario per questo, impegnare nuove energie e credere nella possibilità di costruire un mondo migliore per tutti, anche dove nuovi problemi sociali sembrano di difficile soluzione o laddove le risorse sembrano insufficienti, e del resto non è mai del tutto vero.
*Comunità di Sant’Egidio