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La mattina del 22 aprile scorso, alle ore 4.30, i carabinieri si presentano a casa di A.B., a Potenza. Senza esibire alcun mandato, e senza dare alcuna spiegazione perquisiscono l’abitazione, gli ordinano di prepararsi una borsa con gli abiti e di seguirli, poiché è in stato di arresto. Solo i giorni successivi la sua famiglia apprende dagli organi di informazione che A.B. è caduto in una retata in grande stile, insieme a ottantasei persone accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso: è stato coinvolto solo perché nel 1995 aveva a più riprese acquistato, da una persona successivamente pentitasi, una dose di eroina del valore di centomila lire. A.B. è un semplice consumatore di droghe illegali, ma l’etichetta sociale di “deviante” evidentemente è sufficiente perché sia sospettato di spaccio, senza bisogno di prove. Il protagonista della nostra storia ha un lungo passato di tossicodipendenza (vent’anni), ma dal 1996 è in cura presso il Sert di Potenza con terapia di mantenimento a 60mg al giorno di metadone. Da tre anni non fa più uso di eroina. Lo staff afferma che il trattamento ha ottenuto buoni risultati, comprovati dagli esami cui periodicamente egli viene sottoposto. Dal giorno in cui A.B. è stato arrestato e tradotto nel carcere speciale di Salerno, a lui e ad altri con gli stessi problemi è stato negato il metadone poiché in quel carcere il direttore non permette che venga somministrato questo farmaco. A nulla sono servite le numerose telefonate dei medici di Potenza al Sert di Salerno (dove hanno risposto di non avere alcuna voce in capitolo sulle terapie farmacologiche dei tossicodipendenti detenuti), ed agli stessi medici del carcere di Salerno, che sono arrivati a trattare in malo modo il sanitario del Sert di Potenza che chiedeva informazioni sullo stato di salute del suo utente. A.B., privato di adeguata terapia, ha sofferto di stati di allucinazione, crisi depressive con fantasie suicide, riduzione della capacità ideative e cognitive, stato di ansia. Allo stato di abbandono si aggiunge il trattamento di “contorno” riservato in questo penitenziario ai detenuti. A.B. riferisce che le percosse sono un fatto di ordinaria amministrazione nel carcere di Salerno, specie per i tossicodipendenti: di giorno con qualunque pretesto; di notte con incursioni improvvise nelle celle; le guardie entrano, buttano una coperta addosso al malcapitato e via col pestaggio, a suon di calci, pugni e manganelli. Quando dopo quindici giorni viene scarcerato (il magistrato ha valutato la sua posizione “marginale”), A.B. torna a casa profondamente provato e a tutt’oggi non si è ancora completamente ristabilito. Oggi quest’uomo si chiede e chiede come sia possibile che i diritti dei tossicodipendenti, e prima di tutto il diritto alla dignità, alla cura e alla continuità terapeutica, siano sistematicamente violati. Si chiede e chiede se sia giusto che un uomo che si è ormai rifatta una vita si ritrovi ricacciato nell’ombra del suo passato, alle prese con la giustizia solo per l’indelebile stigma sociale che lo accompagna. C’è qualcuno tra i vari ministri e sottosegretari, giudici e procuratori, responsabili dell’Amministrazione Penitenziaria e del Servizio Sanitario Nazionale, che voglia rispondere?