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Pare diventato lo sport preferito da certi politici: sparare sulla Croce Rossa, bastonare il can che affoga. Così il manganello si abbatte di volta in volta, o assieme, su lavavetri, rom, tossici, poveracci in genere.

I tecnici la chiamano incapacitazione selettiva, ma è una sorta di pulizia etnica. Prima li si manda in galera, poi si cerca di buttare via la chiave. Un obiettivo sempre meno lontano, dato che la legge Gozzini, ora sotto attacco, è già stata progressivamente amputata, polemica dopo polemica. Varata nel 1986, da subito era cominciato lo stillicidio. Un po’ come per il recente indulto, disconosciuto da chi pure lo aveva votato il giorno prima. Memore dell’esperienza, questa volta il ministro Mastella pare disponibile a discutere un giro di vite. Una vite, per la verità, arrivata quasi a fine corsa, dopo i tanti ritocchi. Come quel regalo di Natale che il governo fece ai detenuti nel 1990: il blocco della Gozzini per 5 anni, per giunta retroattivo. Ammise imbarazzato un galantuomo come l’allora Guardasigilli Giuliano Vassalli: «Questo voleva l’opinione pubblica e questo gli è stato dato». Nella Prima Repubblica queste spinte erano comunque frenate da una classe politica di diverso spessore, da una sinistra non ancora corrosa dal virus securitario e da associazioni combattive.

In quell’occasione si levarono pronte e alte le proteste, con una predominanza di quelle cattoliche: dal presidente della Cei, cardinal Poletti, al cardinal Martini.
Da allora, attacchi e restrizioni alla Gozzini hanno visto una cadenza pressoché annuale. Ormai, più che cambiarla, tanto vale introdurne una nuova: la legge di Lynch. Avrebbe certo consensi a furor di popolo.