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La vicenda di quello che è stato chiamato disegno di legge Fini sugli stupefacenti ha accompagnato la vita di questo Governo, dalla sua origine alla sua conclusione. Infatti, il primo annuncio, da parte dello stesso Fini, a Vienna, in una riunione internazionale, risale al 2001. Dopo questa uscita, il disegno di legge Fini veniva ogni tanto rilanciato sulla stampa o anche, attraverso incontri e convegni, dai suoi detrattori, che furono da subito tantissimi. Intervenendo sul Dpr 309/90 – il testo legislativo vigente sugli stupefacenti, che già era tutt’altro che tenero – il disegno di legge Fini inaspriva la linea repressiva, indeboliva quella della assistenza ai tossicodipendenti, manifestava una fede incrollabile (di altri tempi) sulla galera come strumento di recupero dalla dipendenza ipotizzando limitate alternative che assicurassero chiusure quasi carcerarie. La filosofia, se vogliamo chiamarla così, era evidente. Il fatto pacifico è che la tossicodipendenza è un problema complicato, che richiede attenzione alle persone, articolazione delle risposte, servizi che siano in grado di realizzarle. Senonché, il carcere è da sempre la via maestra della semplificazione: e allora il progetto sposa questa via: proibizione dell’uso, inflizione della pena detentiva per chi la viola, allontanamento in carcere delle persone, che, a fine pena, torneranno a tutti i loro problemi complicati e da qui, più prima che poi, al solito carcere. Era logico dissentire da queste linee, che ignoravano la crescita del sistema di assistenza e cura, e la contestazione del progetto fu immediata ed estesa. Ma il Fini, seguendo l’antica consegna, tirava diritto, sia pure con calma. Bisogna infatti arrivare all’aprile del 2003 per un nuovo lancio del progetto ad un summit dell’Onu in materia, e, poi, al novembre 2003 per l’approvazione del disegno di legge in Consiglio dei Ministri e, infine, alla presentazione in Parlamento nel maggio 2004. Al Senato, come racconta Franco Corleone in un suo articolo su il manifesto dell’11/1/06, la discussione si arena: manca il parere della Commissione bilancio sulla quantificazione delle spese e la relativa copertura e manca perché il governo, richiesto, non risponde. Ci sarebbe aria di rinuncia, confermata dalla difficoltà a organizzare la conferenza nazionale su stupefacenti e dipendenze, scaduto ormai da due anni il termine di legge. Alla fine, la conferenza si svolge a fine 2005, a Palermo, disertata da enti locali, responsabili della assistenza ai tossici, società scientifiche del settore e anche da tutta l’area dei servizi privati che si riconoscono nella cura e non nella punizione: tutti questi si riuniscono in una contemporanea controconferenza, nella quale il no al progetto Fini viene ripetuto dopo analoghe conclusioni di svariati riunioni e convegni tenuti negli anni precedenti.

Gli azzeccagarbugli al lavoro
La conferenza di Palermo è servita, però, a dare risonanza ad un altro annuncio, che porta il Ministro Giovanardi: è pronto uno stralcio del progetto Fini e quello può avere via libera e, se si frapporranno ostacoli, è pronta la fiducia. Lo stralcio raccoglie il più e il peggio del progetto Fini, per cui evidentemente il problema della copertura finanziaria non è superato, ma dimenticato: quando è pacifico che quattrini non ce n’è. Ma come si farà, a questo punto, con ormai meno di 15 giorni a disposizione, ad avere il passaggio dello stralcio Giovanardi dinanzi alle camere? Una volta c’era l’intellettuale collettivo, ora c’è l’azzeccagarbugli collettivo, che ha poderosi rappresentanti nelle file governative. Cosa ti combina questo personaggio? Vedi il racconto del disegno criminoso nell’articolo già citato di Corleone. Nel testo di un decreto legge che parla d’altro, si inserisce un articolo che corregge la legge Cirielli nei confronti dei tossicodipendenti. Si noti: la legge è stata approvata il 5/12 e la pensata dell’articolo aggiunto al decreto legge, che modifica la legge, è del 23/12: o caducità delle leggi umane! Ci si prepara ad un emendamento unico dell’articolo correttivo della Cirielli, emendamento che raccoglie tutto il testo dello stralcio Giovanardi, rappresentato da 21 articoli per 27 pagine. Questa l’idea, si può sempre provare, mai morti. E la copertura finanziaria? Ormai non più dimenticata, ma dissolta. E dove sta l’urgenza, richiesta per un decreto legge, per una riforma legislativa lanciata cinque anni fa? E dove sta la decenza – la grande dimenticata – di usare una via clandestina per evitare ogni discussione su un cambiamento radicale di politica delle dipendenze, che, in qualsiasi incontro aperto ha raccolto soltanto contestazioni e rifiuti? La manovra si commenta da sé. Si tratta di sapere se supererà il necessario vaglio notarile: speriamo che il notaio non sia fuori studio, come già successo per la Cirielli. Scusatemi se il racconto è stato lungo, ma illustra lo spirito di avventura di questa combriccola di asseriti legislatori. Asseriti, ma disgraziatamente reali. E il merito della questione? Si è corretta la Cirielli nei confronti dei tossicodipendenti, ma su un punto soltanto. I tossici resteranno il bersaglio più esposto di questa guerra ai recidivi, dichiarata da quella geniale legge, rispetto alla quale c’è da fare un esame di coscienza: se meritava tutta la resistenza su Previti e il silenzio sulle decine di migliaia di recidivi delle nostre galere, molte migliaia dei quali sono tossici. Non era bella la prescrizione per Previti, ma neppure lo era il ripristino della quantità di penalizzazione del vecchio codice Rocco per i più disgraziati: le vie d’uscita per il primo saranno trovate comunque, mentre ai secondi non resta che constatare che non sono interessanti. E i distinguo su amnistia e condono di questi giorni lo confermano: amaramente.

Una irrisione al sistema di garanzie dei diritti
E lo stralcio Giovanardi? Resta il cuore del disegno di legge Fini, la sua filosofia. Punire è la strada. Chi teme di misurarsi col vivere, come spesso i tossici, può essere confortato dalla paura della pena: agli zoppi grucciate, come si dice. Cancellando ogni effetto del referendum del ‘93 sulla non punibilità dell’uso (o problemi costituzionali non li riguardano), si ripristinano, accanto a quelle penali, le sanzioni amministrative che hanno come organo di decisione il prefetto o, in una situazione indefinibile aperta a tutti gli arbitrii, il questore, con possibilità di opposizione al giudice di pace. Ogni aspetto di questo regime è una irrisione ad un sistema giurisdizionale di garanzia di diritti. E anche l’unificazione del trattamento penale quale che sia il tipo di stupefacente detenuto o usato, nonché le quantità minime punibili dello stesso, sono rimesse ad una sede governativa: e l’art. 25, comma 2, della Costituzione? Ogni tanto un po’ di propaganda: per i reati di detenzione e simili, se di lieve entità, si può disporre, anziché la sanzione penale, il lavoro di pubblica utilità, previsto per il giudice di pace. Senonché, nel caso del giudice di pace, questi determina la durata del lavoro sostitutivo, calcolando che il lavoro sostitutivo non può superare le sei ore settimanali. Nello stralcio Giovanardi la durata del lavoro sostitutivo è quella della pena inflitta per il reato e che parte da un minimo di un anno. Quante settimane, per quanti anni, con la media di sei ore settimanali, ci vorranno per espiare la pena minima? Se non sbaglio, qualcosa più di sette anni. Anche la custodia cautelare può avere un’alternativa al carcere per completare o avviare un programma terapeutico, come già previsto peraltro dall’art. 89 del Dpr 309/90, ma in questo l’alternativa era la revoca della custodia cautelare, mentre nello stralcio è la ammissione agli arresti domiciliari. E le misure alternative previste dagli articoli 90 e 94 del Dpr, rientrano fra quelle per cui valgono le limitazioni dell’art. 4bis, dal quale erano rimaste sempre fuori, anche nei tempi della più dura emergenza criminale. Per queste misure, poi, nessuna tolleranza per le violazioni del programma, che devono essere denunciate subito al giudice, attivando un sistema di automatismi, che non è quello di cui ha bisogno il procedere di programmi terapeutici, che presentano molto spesso momenti di difficoltà che vanno aiutati. Resta nello stralcio Giovanardi quello che era uno dei caratteri di fondo del disegno Fini. Ignoranza del decentramento, attraverso l’articolazione del servizio sanitario pubblico, della assistenza e cura delle dipendenze e rilancio dell’intervento privato. Per il primo aspetto, nonostante il passaggio costituzionale (art. 117 Cost.) di competenze alle regioni, in ogni fase prevale il centralismo nella definizione dei principi (che in precedenza erano indicati dalla legge per evitare anarchie) ed anche nella descrizione di singole attività, come quelle di accertamento della dipendenza, rimesso a criteri medico-legali e laboratoristici, che sembrano più oggettivi, ma che in sostanza ignorano il quadro di conoscenza diretta della persona e di ricostruzione anamnestica del suo percorso. In questo settore l’equiparazione del privato al pubblico è l’altra caratteristica, che potrebbe anche sembrare poco significativo, se non fosse che il privato accreditato sembra selezionato in base alla condivisione dei criteri di fondo di questa legislazione, che abbandona acquisizioni, realizzazioni e valori, maturati nei decenni scorsi. Ricordo uno slogan realistico di questi anni, secondo il quale “la cura vale la pena”, ovvero che la pena può essere l’occasione per accedere ai programmi terapeutici. Ebbene: credo sia utile chiarire che questa legislazione non ha niente a che fare con quello slogan. Per la stessa “la pena vale la pena”, la pena è la strada.