Tempo di lettura: 3 minuti[avatar user=”Peter Cohen” size=”thumbnail” align=”right” /]

Immaginate di essere intenditori di foglia di coca. Amate che la vostra foglia sia di un verde brillante e abbia un sapore dolce, non sia cosparsa di impurità, non vi dia mal di testa. Vorreste scegliere la vostra foglia di coca così come fanno gli intenditori di fragole (ne conosco alcuni nel Medoc francese, dove vivo). Quanto sareste felici di una buona rivista sulla coca, una rivista in cui si discutano le avventure di diversi coltivatoriin Perù e si assaggino e si testino i prodotti che arrivano dalla Ande…

Questo tipo di sapere non esiste, né esistono riviste su di esso. Formulare domande da intenditori sulla foglia di coca non appartiene alle libertà codificate.

Siamo liberi di organizzarci per saperne di più sul caffè, sullo champagne, o magari sulla cioccolata. Ma non sulla foglia di coca. In Olanda e in Spagna  questo tipo di dibattito è tollerato per la cannabis, ma è inimmaginabile per la coca o il papavero. Questo esempio serve a introdurre il lettore ai problemi che sorgono quando formuliamo domande sull’uso di droga. Non possiamo, semplicemente, fare tutte le domande, e certamente non possiamo fare liberamente domande da porre al centro della ricerca. Possiamo tendere a un sapere sacro, un sapere che è consentito edificare o costruire, ma non a un sapere profano che i nostri dominatori considerano contrari al dogma. La situazione della ricerca sulle droghe non è diversa da quella della posizione del sole in contrapposizione alla Terra all’epoca ormai trascorsa del mio buon amico Galileo. Al povero Galileo fu proibito tenere lezioni su ciò che sapeva! Dopo il suo processo a Roma gli fu vietato condurre ricerche, e la Chiesa ha mantenuto la sua posizione contro Galileo fino al XIX secolo.

La nostra Chiesa della Proibizione ci dirà quali domande possiamo tradurre in progetti di ricerca, e quali no. Ad esempio, mi viene questa idea: voglio scoprire quanti consumatori di ecstasy sono stati molto bene usando questa sostanza e ne parlano con tenerezza e affezione. Voglio saperlo, in modo da poter dare un consiglio realistico ai policy makers su come fare informazione di qualità sull’uso di ecstasy. Perciò vado alla mia università e dico ai responsabili che ho intenzione di andare a cercare i fondi per questa ricerca. Sei pazzo? mi chiedono loro. Pensi davvero che chi finanzia la ricerca sulle droghe sia disposto a finanziarla? Il responsabile della ricerca presso il ministero della Salute prima era direttore di San Patrignano! Detesta le droghe e pensa che non debbano essere usate da nessuno. È lui a decidere quali progetti debbano essere finanziati, e non ti concederà mai un finanziamento per il tuo progetto. Per favore, scegli un altro argomento.

Otterrai sicuramente il denaro se cercherai persone che non abbiano gradito affatto l’ecstasy. Può darsi che siano poche, perciò ripeti i loro racconti per intero, così che tutti pensino che l’ecstasy non piace a nessuno!

Questo è quello che dirà il mio capo, se vuole che io trovi i soldi per la ricerca. Così l’anno prossimo potrà pagarmi lo stipendio.

Le persone che fanno ricerca sulla droga non sono libere, e la relazione tra politica e ricerca è solo di natura sacra. Le ricerche funzionali al modo dogmatico di guardare alle droghe da parte dei burocrati della Proibizione saranno realizzate, raggiungeranno spesso i policy makers, e necessariamente confermeranno ciò che questi ultimi cercano costantemente di dimostrare: l’uso di droghe porta ad avere problemi. L’uso di droghe porta al crimine. L’uso di droghe porta alla prostituzione. Tutto questo naturalmente non è vero per la stragrande maggioranza dei consumatori di droghe. Ma una ricerca che lo dimostri è difficile o addirittura impossibile da trovare perché questi progetti non saranno finanziati. Come i consumatori integrano il proprio consumo, come la maggior parte dei consumatori di droghe non hanno mai problemi, non può essere scoperto, e così non può rientrare nelle scelte politiche. Non può rientrare nella valutazione di quella folle prigione chiamata “trattati internazionali sulle droghe”. Non può rientrare nel modo in cui ci relazioniamo con i giovani.

Amen.