Tempo di lettura: 25 minuti

PRIMO: RIDURRE I DANNI

Nel 1988 il Congresso approvò una risoluzione nella quale si formulava l’obiettivo di "un’America libera dalla droga entro il 1995". Per decenni, la politica statunitense ha registrato una serie ininterrotta di insuccessi per aver privilegiato questo tipo di retorica, rifiutando di vedere la realtà, e per aver preferito il moralismo al pragmatismo. I politici confessano i loro eccessi di gioventù, ma poi invocano leggi più severe contro la droga. I responsabili preposti al controllo della droga fanno asserzioni prive di basi fattuali scientifiche. Funzionari di polizia, generali, politici e guardiani della morale pubblica hanno voce in capitolo in materia di droga, mentre tra le autorità in questo campo non c’è neppure un medico o un responsabile della sanità pubblica. Si nominano commissioni indipendenti per valutare la politica antidroga, ma le loro raccomandazioni sono ignorate perché considerate politicamente rischiose. E si progettano, si varano e si applicano politiche antidroga, praticamente senza alcun apporto da parte di quei milioni di americani che più sono colpiti dal fenomeno: gli stessi consumatori di sostanze stupefacenti.
L’abuso di queste sostanze costituisce un grave problema, sia per i singoli cittadini che per la società nel suo complesso, ma la "guerra alle droghe" non solo non ha migliorato la situazione, ma anzi l’ha peggiorata.
I combattenti di questa guerra si richiamano spesso agli anni 80, sostenendo che in quel periodo la lotta contro la droga sia stata realmente efficace. L’uso illecito di sostanze stupefacenti da parte di giovani di età inferiore ai 20 anni ha raggiunto un apice intorno al 1980, per ridursi di più del 50% nel corso dei 12 anni successivi Durante la campagna presidenziale del 1996, lo sfidante repubblicano Bob Dole ha insistito molto sul recente aumento dell’uso illecito di droghe da parte dei giovani e giovanissimi, in contrasto con il netto calo durante le amministrazioni Reagan e Bush. La risposta di Clinton è stata tiepida, in parte perché egli ha accettato il concetto secondo il quale il consumo di droga da parte dei giovanissimi costituisce il principale parametro del successo o dell’insuccesso di una politica antidroga: ma almeno avrebbe potuto rilevare che il consumo di sostanze stupefacenti si è mantenuto a un livello corrispondente ad appena la metà di quello registrato nel 1980.
Va detto però che nel 1980 nessuno aveva ancora sentito parlare della forma meno costosa e "fumabile" di cocaina chiamata crack, né dell’infezione da virus HIV o Aids, legata al consumo di droga. Nel 1990, sia la diffusione del crack che l’Aids avevano raggiunto proporzioni epidemiche nelle città americane, in larga misura a causa di un’economia e di una morale proibizioniste, indifferenti alle conseguenze umane della guerra contro la droga. Nel 1980, il bilancio federale per la lotta antidroga era di circa un miliardo di dollari, mentre quelli degli stati e degli enti locali raggiungevano dal doppio al triplo di questa cifra. Nel 1997, il budget federale per il controllo della droga era arrivato a ben 16 miliardi di dollari, una somma di cui due terzi erano destinati agli organismi preposti all’applicazione delle leggi; anche gli stanziamenti degli stati e quelli locali avevano raggiunto una cifra almeno analoga. Nel 1980, ogni giorno circa 50.000 persone si sono trovate dietro le sbarre per aver violato la legge antidroga; nel 1997 questo numero è stato di ben otto volte maggiore, (400.000 circa). Ecco i risultati di una politica antidroga che pone unilateralmente l’accento su "soluzioni" repressive di carattere penale, ideologicamente legate a un tipo di trattamento mirante esclusivamente all’astinenza, senza tener conto di alcun tipo di analisi costi-benefici.
Cerchiamo invece di immaginare una politica che prenda le mosse dalla consapevolezza che il problema della droga è destinato ad accompagnarci per molto tempo, e che dovremo, volenti o nolenti, imparare a convivere con esso in modo da ridurne al massimo i danni. Cerchiamo di immaginare una politica che si concentri non tanto sulla riduzione dell’uso illecito della droga in sé e per sé, ma cerchi piuttosto di contrastare la criminalità e i disastri causati sia dal consumo di stupefacenti che dalle stesse politiche proibizioniste. Cerchiamo di immaginare una politica antidroga basata non sulla paura, sul pregiudizio e sull’ignoranza che sono alla base dell’atteggiamento attuale degli Stati Uniti, ma piuttosto sul buon senso, sulla scienza, sull’impegno per la salute pubblica e sui diritti umani. Una politica del genere è possibile negli Stati Uniti, soprattutto se gli americani sono disposti ad apprendere dalle esperienze di altri paesi nei quali politiche del genere si stanno affermando.

GLI ATTEGGIAMENTI ALL’ESTERO

Gli americani non sono, in linea di principio, contrari a cercare all’estero le soluzioni al problemi della tossicodipendenza negli USA; ma purtroppo hanno rivolto lo sguardo dalla parte sbagliata: hanno guardato all’Asia e all’America latina, da dove proviene buona parte dell’eroina e della cocaina diffuse nel mondo. Gli sforzi portati avanti per decenni dagli Stati Uniti per impedire che le droghe fossero prodotte all’estero ed importate sui mercati americani sono falliti. La produzione illecita di droghe è un business maggiore di quanto lo sia mai stato. Le colture di papavero oppiaceo, dal quale si estrae la morfina e l’eroina, e quelle di cannabis, che è alla base della produzione di marijuana e di hashish, si stanno espandendo in tutto il mondo. La pianta di coca, che produce le foglie di cocaina, può essere coltivata anche lontano dal suo ambiente originario, quello delle Ande. I programmi sostitutivi, che avevano lo scopo di convincere gli agricoltori del terzo mondo a dedicarsi a colture legali, non possono competere con i profitti della droga, inevitabilmente incrementati dalla proibizione. Le campagne di distruzione dei raccolti di piante oppiacee riducono occasionalmente la produzione in questo o in quel paese, ma immediatamente nuovi fornitori emergono altrove. Gli sforzi internazionali per l’applicazione della legge possono distruggere organizzazioni di trafficanti e incidere su determinati itinerari, ma difficilmente esercitano un impatto decisivo sul mercato della droga negli USA.
Anche se l’importazione di droga potesse essere ridotta, gli effetti sul problema dell’abuso di sostanze stupefacenti negli Stati Uniti ne sarebbe scarsamente influenzato. La maggior parte dei problemi della tossicodipendenza negli USA dipendono infatti dalle sostanze alcoliche e dal tabacco prodotti in territorio americano. Anche la marijuana, l’amfetamina, gli allucinogeni e le sostanze farmaceutiche usate impropriamente e illecitamente vengono prodotte in buona parte, se non in massima parte, negli USA; e lo stesso vale per sostanze quali colla, benzina o vari solventi usati da minori, troppo giovani o privi dei mezzi necessari per procurarsi altre sostanze psicoattive. Senza alcun dubbio, droghe del genere o nuovi prodotti potrebbero rapidamente sostituire l’eroina o la cocaina d’importazione, se si riuscisse a far cessare il flusso delle sostanze provenienti dall’estero. Mentre i tentativi nel confronti dell’America latina e dell’Asia, alla ricerca di soluzioni per ridurre l’offerta di droga e risolvere così il problema in America, si sono rivelati privi di prospettive, appare invece promettente l’approccio per la riduzione dei danni che si sta diffondendo in Europa, in Australia e anche in alcune limitatissime aree del Nordamerica. Il primo passo in questa direzione consiste nel prendere atto che le iniziative per la riduzione dell’offerta sono intrinsecamente limitate; che le risposte basate sulla repressione e sull’azione penale possono rivelarsi, oltre che costose, anche controproducenti, e che l’obiettivo monolitico di una "società senza droghe" manca pericolosamente di realismo. Gli sforzi per ridurre la domanda allo scopo di evitare l’abuso di stupefacenti tra i giovanissimi come tra gli adulti sono importanti, ma lo sono altrettanto le misure volte a ridurre il danno e ad arginare le conseguenze negative a carico di coloro che non sono disposti, o non sono in grado di smettere all’improvviso di consumare droghe, nonché dell’ambiente che li circonda.
La maggior parte di coloro che propongono misure per la riduzione dei danni non sono favorevoli alla legalizzazione della droga. Essi riconoscono che la proibizione non è riuscita a ridurre l’abuso di sostanze stupefacenti, che è responsabile di buona parte della criminalità, della corruzione, delle malattie e dei decessi dovuti alla droga, e che i costi di questa politica aumentano anno per anno; ma nel contempo considerano la legalizzazione politicamente irragionevole, perché rischierebbe di far aumentare l’uso delle sostanze stupefacenti. L’obiettivo è dunque quello di far funzionare meglio le leggi antidroga, ma di dedicare al tempo stesso molta attenzione all’esigenza di ridurre le conseguenze negative dell’uso delle sostanze stupefacenti da un lato, e delle politiche proibizioniste dall’altro.
I paesi che hanno adottato strategie di riduzione dei danni per contribuire ad alleviare i guasti provocati dalla droga non differiscono sostanzialmente dagli Stati Uniti. Hanno problemi di tossicodipendenza e di criminalità, problemi razziali e altri problemi socio-economici inestricabilmente legati tra loro. Come in America, anche in altri paesi le autorità giudiziarie perseguono e puniscono tuttora con pene detentive i grossi trafficanti come i piccoli spacciatori che inquinano la società. I genitori si preoccupano per i loro figli, temendo di vederli coinvolti nel giro della droga. I politici sono tuttora molti inclini alla retorica della lotta alla droga. Tuttavia, a differenza di quanto si osserva in USA, gli obiettivi della sanità pubblica sono considerati prioritari, e le autorità sanitarie esercitano un’influenza rilevante. I medici hanno margini di manovra molto più ampi per il trattamento della tossicodipendenza e dei problemi che vi si associano. La polizia considera lo spaccio e il consumo di droghe illecite in maniera analoga alle attività legate alla prostituzione, che non si possono sopprimere, ma si possono almeno regolare efficacemente. I moralisti non si concentrano tanto sul male inerente alla droga quanto sulla necessità di affrontare il problema dell’uso degli sostanze stupefacenti e della tossicodipendenza in maniera pragmatica e umana; ed è maggiore il numero dei politici che osano esprimersi apertamente a sostegno di un’alternativa alla politica proibizionista e punitiva.
Tra le innovazioni ispirate alla riduzione del danno vanno annoverati gli sforzi per arginare la diffusione del virus HIV attraverso la distribuzione di siringhe sterili e la raccolta di quelle usate. Si consente ai medici di prescrivere il metadone per via orale per il trattamento degli eroinomani, o anche altre droghe, e la stessa eroina, ai tossicodipendenti che altrimenti si rifornirebbero sul mercato nero. Si allestiscono "locali per iniezioni sicure", affinché i tossicodipendenti non siano indotti ad aggregarsi in luoghi pubblici o nelle pericolose "shooting galleries". Si impegnano nuclei per l’analisi delle droghe nei cosiddetti "raves", (grande adunate di ballo rock) con il compito di esaminare la qualità dell’MDMA, noto come Ecstasy, e di altre droghe che si acquistano e si consumano in quelle occasioni. Si è arrivati inoltre alla depenalizzazione (ma non alla legalizzazione) del possesso e della vendita al dettaglio di cannabis, e in alcuni casi anche del possesso di piccole quantità di droghe "dure". I principi e le politiche della riduzione dei danni sono integrati nelle strategie della politica comunitaria. Alcune di queste misure sono in via di realizzazione, o vengono, quanto meno, prese in considerazione anche in alcune aree degli Stati Uniti, ma raramente ciò avviene nella misura riscontrata in un numero crescente di paesi esteri.

SIRINGHE STERILI PER FERMARE IL VIRUS HIV.

La diffusione del virus HIV, che provoca l’Aids, tra i consumatori di droghe illegali, ha indotto i governi dell’Europa e dell’Australia ad avviare la sperimentazione di una politica per la riduzione del danni. Agli inizi degli anni 80, i responsabili della sanità pubblica si resero conto che i tossicodipendenti ammalati stavano diffondendo il virus attraverso l’uso collettivo di siringhe. Gli olandesi, che avevano già fatto l’esperienza di un’epidemia di epatite, diffusa probabilmente attraverso la stessa via di trasmissione, sono stati i primi a informare i consumatori di droghe sui rischi della condivisione di siringhe, a distribuire siringhe sterili e a raccogliere quelle usate attraverso le farmacie, a lanciare programmi di cambio di siringhe e di somministrazione di metadone attraverso i servizi sanitari pubblici. Altri governi, in Europa e in Australia, hanno seguito l’esempio olandese. I pochi paesi in cui le siringhe venivano vendute solo su presentazione di ricetta medica hanno rinunciarono a questa restrizione. In Germania, in Svizzera e in altri paesi europei le autorità locali hanno autorizzato l’installazione di apparecchi automatici per lo scambio di siringhe, accessibili 24 ore su 24. In vari paesi europei, i tossicodipendenti possono ottenere siringhe in cambio di quelle usate ai posti di polizia locali, senza dover temere di essere oggetto di vessazioni o denunce. Anche nelle carceri, si stanno istituendo politiche analoghe per ridurre la diffusione dell’Aids tra i carcerati, dopo aver constatato che neppure dietro le sbarre si può impedire ai detenuti di iniettarsi sostanze illecite.
Queste iniziative sono state adottate non senza aspre controversie. I politici conservatori hanno accusato i programmi scambia-siringhe di lassismo verso i comportamenti illeciti e immorali, sostenendo che le politiche dello stato dovrebbero porre l’accento sulla punizione dei consumatori di sostanze stupefacenti, o sulla loro disintossicazione. Ma verso la fine degli anni 80, nella maggior parte dell’Europa occidentale, dell’Oceania e del Canada si è stati costretti a riconoscere che se la tossicodipendenza era un problema grave, quello dell’Aids era ancora peggiore. Il primo imperativo morale era quindi di rallentare la diffusione di una malattia mortale, contro la quale non esiste nessuna cura. Si poneva inoltre un secondo imperativo, di natura fiscale. I programmi per la distribuzione di siringhe pulite hanno costi minimi rispetto a quelli per il trattamento di soggetti esposti al rischio dell’infezione da virus HIV. Soltanto negli Stati Uniti questa logica non è riuscita ad imporsi, benché l’Aids costituisse la prima causa di morte dei cittadini americani di età compresa tra i 25 e i 44 anni per buona parte degli anni 90 (mentre oggi è al secondo posto tra le cause di morte). Secondo la valutazione dei Centers for Desease Control (CDC – Centri di controllo delle malattie) la metà circa delle nuove infezioni da virus HIV contratte nel paese è conseguenza del consumo di sostanze stupefacenti iniettabili. E tuttavia, sia la Casa Bianca che il Congresso bloccano ogni stanziamento di fondi per la distribuzione di siringhe ai fini della prevenzione dell’Aids, e praticamente tutti gli stati mantengono l’intero armamentario delle leggi antidroga, dei regolamenti per le farmacie e delle altre restrizioni per l’acquisto di siringhe sterili. Durante gli anni 80, gli attivisti della lotta contro l’Aids si sono impegnati in azioni di disobbedienza civile, e hanno istituito più programmi di distribuzione di siringhe di quanti ne abbiano realizzato lo stato e i governi locali. Sono attualmente in corso più di 100 programmi del genere in 28 stati, a Washington D.C. e a Porto Rico, ma si valuta che riescano a raggiungere solo il 10% circa dei consumatori di sostanze stupefacenti iniettabili.
Negli Stati Uniti, i governi, a tutti i livelli, rifiutano, per ragioni politiche, di finanziare la distribuzione di siringhe, benché decine di studi scientifici americani ed esteri abbiano accertato che la consegna di siringhe nuove in cambio di quelle usate, così come altri programmi di distribuzione, riduca il fenomeno della condivisione delle siringhe, e ottenga inoltre il risultato di indurre i tossicodipendenti più difficilmente raggiungibili a mettersi in contatto con le strutture di assistenza sanitaria, e di informarli sui programmi di trattamento, senza peraltro accrescere l’uso illegale di droghe. Nel 1991 la Commissione Nazionale per l’Aids, nominata dal presidente Bush, ha definito "sconcertante e tragica" la mancanza di sostegno federale a questi programmi. Nel 1993 un’inchiesta sul programma di distribuzione di siringhe sponsorizzato dal CDC, ha raccomandato il finanziamento federale, ma i maggiori responsabili dell’amministrazione Clinton hanno passato sotto silenzio una valutazione favorevole della relazione da parte del Department for Health and Human Service (Dipartimento preposto alla Sanità e al Servizi Umanitari). Nel luglio 1996, l’Advisory Council (Consiglio Consultivo) del Presidente Clinton sui problemi del virus HIV e dell’Aids ha criticato l’amministrazione per non aver dato seguito alla raccomandazione dell’Accademia nazionale delle scienze di autorizzare lo stanziamento di fondi federali per sostenere i programmi di distribuzione di siringhe. Un comitato indipendente, costituito dal National Institute of Health (Istituto Nazionale di Sanità) è giunto alla stessa conclusione nel febbraio 1997. L’estate scorsa, la American Medical Association (Associazione dei Medici Americani) la American Bar Association (Associazione degli Avvocati Americani) e persino la Conference of Mayors (Conferenza dei Sindaci) USA, molto politicizzata, hanno avallato il concetto dello scambio di siringhe. In autunno infine si è registrato anche l’avallo da parte della Banca Mondiale.
Al momento attuale, secondo una valutazione molto prudente, si deve ascrivere al mancato impegno dell’America in questo campo il contagio da virus HIV di circa 10.000 persone. Prove scientifiche sempre più convincenti, e la realtà drammatica dei progressi dell’Aids hanno convinto l’opinione pubblica, se non i politici, che la distribuzione di siringhe può salvare molte vite; i sondaggi concordano sul fatto che la maggioranza degli americani è a favore della distribuzione delle siringhe, e la percentuale di pareri favorevoli è più elevata tra coloro che hanno una maggiore conoscenza del problema. Non si può ammettere che tanti cittadini debbano ammalarsi e morire di Aids in nome di pregiudizi o a causa della mancanza di coraggio politico, soprattutto se si tiene conto che è possibile intervenire efficacemente, con facilità e sicurezza, e a costi molto modesti.

IL METADONE E ALTRE ALTERNATIVE
Gli Stati Uniti sono stati i pionieri, negli anni 60 e 70, nell’uso di una sostanza oppiacea sintetica, il metadone, per il trattamento della tossicodipendenza da eroina, ma ora sono rimasti molto indietro rispetto all’Europa e all’Australia per quanto riguarda i programmi che rendono il metadone accessibile ed efficace. Si tratta del miglior trattamento disponibile per la riduzione dell’uso illecito di eroina e delle sue conseguenze: criminalità, malattie e morte. All’inizio degli anni 90, l’Istituto di Medicina dell’Accademia Nazionale delle Scienze ha stabilito che tra tutte le forme di trattamento dei tossicodipendenti, "il metodo più rigorosamente studiato, che ha dato i risultati positivi più incontrovertibili, è stato un programma di mantenimento a base di metadone … Il consumo di tutte le droghe illecite, e soprattutto quello di eroina , è in declino. La criminalità si è ridotta, è diminuito il numero dei soggetti divenuti sieropositivi, e la qualità della vita dei singoli individui è migliorata". Nel seguito della sua dichiarazione, l’Istituto precisa: "L’attuale politica … insiste troppo sulla necessità di proteggere la società dal metadone, e non prende invece sufficientemente atto dell’urgenza di difenderla dalle epidemie di tossicodipendenza e di violenza, nonché dalle malattie che il metadone potrebbe contribuire a ridurre." Il metadone sta all’eroina come i cerotti antifumo e la gomma da masticare stanno alle sigarette, con in più il vantaggio della legalità. Preso per via orale, il metadone ha effetti molto lontani da quelli di un’iniezione di eroina, sia sullo stato d’animo che sul livello cognitivo. Può essere consumato per decenni, con conseguenze lievi o addirittura nulle sulla salute; a differenza dall’eroina acquistata per strada, la sua purezza e il suo grado di concentrazione sono sicuri. Analogamente ad altre sostanze oppiacee, può creare, se presa regolarmente, una dipendenza fisica, che però assomiglia più alla dipendenza di un diabetico dall’insulina che non a quella di un eroinomane dal prodotto acquistato per strada. I pazienti che assumono il metadone possono tranquillamente guidare un’auto, svolgere un lavoro di buon livello o badare ai propri figli. Se assumono il prodotto in dosi adeguate, non si distinguono da altre persone che non hanno mai fatto uso di eroina, né di metadone.
Eppure, a causa di pregiudizi popolari e di idee errate, la diffusione del trattamento a base di metadone è stata molto limitata negli Stati Uniti. Gli americani trattati oggi col metadone sono 115.000: un numero di poco superiore a quello registrato 20 anni fa. Le possibilità di trattamento a base di metadone sono sufficienti appena per il 10-20% degli eroinomani. Il metadone è il farmaco più rigidamente controllato di tutta la farmacopea: è soggetto a restrizioni eccezionalmente severe, sia a livello federale che a quello degli stati. I medici non possono prescriverlo per il trattamento dei tossicodipendenti al di fuori dei programmi specificamente designati. I regolamenti impongono non soltanto norme di sicurezza, documentazione e esigenze specifiche in fatto di personale, ma stabiliscono anche le dosi massime, i criteri di ammissione, i tempi del programma e tutta una serie di altre specificazioni, nessuna delle quali ha molto a che fare con la qualità del trattamento. Oltre tutto, questi regolamenti non offrono alcuna garanzia contro trattamenti di livello scadente. Molte cliniche forniscono dosi insufficienti, dimettono anzitempo i pazienti o li espellono per comportamenti offensivi, o praticano altri sistemi che sarebbero considerati inammissibili per ragioni etiche in qualsiasi altro campo della medicina. I tentativi di aprire nuove cliniche sono spesso bloccati dal cittadini residenti, che rifiutano la presenza dei tossicodipendenti nel loro quartiere.
In buona parte dell’Europa e dell’Australia il trattamento a base di metadone è stato, in un primo tempo, oggetto di controversie anche maggiori che negli Stati Uniti; in alcuni paesi, come in Germania, in Francia e in Grecia, è stato proibito durante buona parte degli anni 80 e 90. Ma laddove il metadone è stato accettato, i medici dispongono di un margine abbastanza ampio per decidere come e quando prescriverlo per ottenere il massimo livello di efficacia. Vi sono programmi di trattamento al metadone per tossicodipendenti che vogliono disintossicarsi, e programmi dedicati a coloro che tentano soltanto di ridurre il proprio consumo di eroina. I medici regolarmente abilitati all’esercizio della professione possono prescrivere il farmaco, e i pazienti possono acquistarlo su presentazione di ricetta presso le farmacie locali. Migliaia di medici generici in Europa, in Australia, in Nuova Zelanda e in Canada (in particolare a Ontario e nella Colombia Britannica) stanno attualmente seguendo pazienti trattati con cure di mantenimento a base di metadone. In Belgio, in Germania, in Australia è questo il principale mezzo di distribuzione del prodotto. L’integrazione del trattamento al metadone nella medicina generica rende la cura più accessibile, ne migliora la qualità e consente di prestare con maggiore efficacia anche i servizi paramedici. Questo metodo serve inoltre a stemperare almeno in parte, agli occhi del pubblico, il marchio solitamente attribuito a questi programmi a base di metadone, e a ridurre la resistenza da parte dei cittadini.
Molti fattori impediscono ai medici americani di sperimentare i programmi di trattamento più flessibili adottati dai loro omologhi europei. La Drug Enforcement Administration (Amministrazione per l’applicazione delle Norme Antidroga) sostiene che regolamenti meno rigidi alimenterebbero il mercato illecito con il metadone sottratto ai canali ufficiali. Ma il mercato nero, dove gli acquirenti sono praticamente tutti eroinomani che non possono o non vogliono entrare a far parte di programmi di trattamento a base di metadone, è innanzitutto il risultato dell’insufficiente disponibilità del prodotto sul mercato legale. Alcuni fornitori convenzionati non vogliono cedere le loro posizioni quasi monopolistiche in materia di trattamento al metadone, e sono riluttanti a inserire nei programmi i tossicodipendenti che non possono o non vogliono impegnarsi alla disintossicazione. E tutti gli sforzi per rendere il metadone più facilmente accessibile negli Stati Uniti si scontrano con l’atteggiamento di molti americani, che giudicano questo trattamento in maniera negativa, ritenendolo semplicemente una sostituzione di una tossicodipendenza con un’altra, e guardano con sospetto a qualsiasi trattamento che non ottenga il risultato di "liberare" il paziente dalla droga.
Il metadone per via orale è molto efficace in centinaia di migliaia di casi di tossicodipendenza da eroina, ma molti eroinomani si trovano meglio con altri prodotti sostitutivi degli oppiacei. In Inghilterra, i medici prescrivono il metadone iniettabile al 10% circa dei pazienti, che possono apprezzare l’effetto rapido dell’iniezione, o anche lo stesso rituale del "buco". I medici austriaci, svizzeri e australiani stanno sperimentando la prescrizione di morfina per via orale, allo scopo di stabilire se su alcuni consumatori i suoi effetti siano superiori a quelli del metadone per via orale. Alcuni programmi di trattamento olandesi comprendono esperimenti con la morfina e il palfium, somministrati per via orale. In Germania, dove inizialmente il trattamento a base di metadone era stato rifiutato, migliaia di tossicodipendenti hanno fruito di programmi di mantenimento a base di codeina, e alcuni medici e pazienti continuano a preferire questa sostanza al metadone. Una situazione simile si è verificata in Francia con la buprenorfina. In Inghilterra. i medici dispongono di un ampio margine di discrezionalità per prescrivere qualsiasi farmaco in grado di dare sollievo al pazienti tossicodipendenti, per salvare loro la vita e mantenerli lontani dalla droga illegale e dal trafficanti. Fin dagli anni 20, migliaia di tossicodipendenti inglesi seguivano programmi di mantenimento con prescrizione legale di eroina, morfina, amfetamina, cocaina e altre sostanze farmaceutiche. Questa era la tradizione fino agli anni 60, ed è riemersa in risposta all’Aids e alla crescente delusione seguita all’ "americanizzazione" della prassi britannica in materia di prescrizione di droga, che si era imposta negli anni 70 e 80 – in quel periodo l’uso illecito di eroina arrivò quasi a decuplicarsi in Gran Bretagna. Anche in altri paesi europei e in Australia, i medici stanno sperimentando la prescrizione di eroina.
Il governo svizzero ha avviato una sperimentazione a livello nazionale nel 1994, per stabilire se la prescrizione di eroina, morfina o metadone iniettabile avrebbe potuto ridurre la criminalità, le malattie e altri guasti conseguenti alla tossicodipendenza. Circa 1000 eroinomani, tutti volontari, con alle spalle almeno due esperienze fallite di trattamenti a base di metadone o altri programmi di cura convenzionali, sono stati inseriti in questa sperimentazione. Si è potuto rapidamente accertare che praticamente tutti i partecipanti preferivano l’eroina, e di conseguenza la sostanza è stata loro prescritta dal medici. Nel luglio scorso, il governo ha riferito i risultati della sperimentazione raggiunti fino a quel momento. Le attività criminali e il numero delle persone che si sono rese responsabili di reati è diminuito del 60%, la percentuale complessiva del reddito che i partecipanti hanno tratto da attività illegali o semillegali è scesa dal 69% al 10%; l’uso illegale di eroina o di cocaina si è drasticamente ridotto, (mentre l’uso di alcool, di cannabis e di tranquillanti, quali ad esempio il Valium, è rimasto invariato). La percentuale di tossicodipendenti inseriti nel programma con un lavoro stabile è aumentata dal 14 al 32%; le condizioni di salute fisica sono enormemente migliorate, e la maggior parte dei partecipanti ha ridotto drasticamente i contatti con il giro della droga. Non vi sono state morti per overdose, e non è mai accaduto che la droga prescritta venisse dirottata sul mercato nero. Più della metà di coloro che hanno interrotto il programma sono passati a un altro tipo di trattamento antidroga; tra questi, 83 hanno iniziato una terapia di astinenza. Un’analisi dei costi-benefici del programma ha fatto emergere un risparmio netto, pari a 30 dollari al giorno per ogni paziente, soprattutto grazie alla riduzione dei costi della giustizia penale e degli interventi sanitari.
La sperimentazione svizzera ha smontato un buon numero di miti sull’eroina e sui suoi consumatori abituali. I risultati attuali dimostrano che in condizioni di disponibilità praticamente illimitata, i consumatori di eroina tendono a stabilizzare volontariamente o a ridurre il loro dosaggio, e alcuni scelgono persino l’astinenza; che i consumatori inveterati possono condurre una vita relativamente normale e stabile quando hanno la certezza di avere legalmente accesso alla droga di loro scelta; e che i comuni cittadini sono disposti a sostenere iniziative del genere. Nei recenti referendum svolti a Zurigo, a Basilea e a Zugo, sono emerse maggioranze importanti in favore della prosecuzione del finanziamento della sperimentazione a livello locale; e nel settembre scorso, un referendum a livello nazionale, che proponeva di porre fine all’iniziativa del governo della somministrazione di eroina e ad altre iniziative per la riduzione del danno, è stato respinto dal 71% dei votanti svizzeri; il no ha ottenuto la maggioranza in tutti i 26 cantoni della Confederazione.
L’Olanda, dal canto suo, sta preparando per il 1998 un programma di distribuzione legale di eroina, e altri esperimenti simili stanno per essere presi in considerazione in altri paesi europei, quali il Lussemburgo, la Spagna e il Canada. In Germania, il governo federale si è opposto alla sperimentazione della prescrizione legale di eroina e ad altre innovazioni volte alla riduzione del danno, ma la Lega delle Città ha chiesto l’autorizzazione a sperimentare per proprio conto. Da un’inchiesta condotta all’inizio dello scorso anno è risultato che i dirigenti della polizia, in dieci delle dodici maggiori città del paese, erano favorevoli a consentire ai Länder di attuare i loro programmi di distribuzione controllata dell’eroina. La scorsa estate, in Australia, la maggioranza dei ministri della sanità degli stati ha approvato una sperimentazione di prescrizione dell’eroina, ma il primo ministro John Howard ha bloccato l’iniziativa. In Danimarca, da un sondaggio condotto nel settembre 1996 è emerso che il 66% dei votanti erano favorevoli a una sperimentazione per la fornitura gratuita di eroina, somministrabile presso appositi centri, ai tossicodipendenti registrati.
La Svizzera è all’avanguardia anche nelle azioni volte a ridurre il fenomeno dell’overdose e quello delle iniezioni praticate con metodi pericolosi o in luoghi pubblici, mediante l’istituzione dei "locali per iniezioni sicure", dove i tossicodipendenti hanno la possibilità di praticarsi le iniezioni in condizioni sanitarie controllate. Esistono oggi circa 12 locali del genere nel paese, e le prime valutazioni sono positive. In Germania, a Francoforte sono stati istituiti tre centri del genere, e anche ad Amburgo e Saarbrücken vi sono strutture di questo tipo, ufficialmente riconosciute. In altre città dell’Europa e dell’Australia, strutture analoghe sono programmate a breve scadenza.

NO AL FURORE ANTISPINELLO

La cannabis, sotto forma di marijuana o di hasish, è di gran lunga la droga illegale più diffusa negli Stati Uniti. Più di un quarto degli americani ha ammesso di averla almeno provata. La diffusione della maijuana ha raggiunto il suo apice nel 1980, per poi calare costantemente fino all l’inizio degli anni 90; ora sta nuovamente aumentando. Anche se non si tratta di un prodotto privo di rischi, soprattutto quando è usata da bambini in qualità rilevanti o quando è assunta dagli automobilisti alla guida, è sicuramente la meno pericolosa tra le sostanze psicoattive comunemente usate. Nel 1988 Francis Young, giudice amministrativo (administrative law judge) della Drug Enforcement Administration, riesaminò la documentazione esistente e giunse alla conclusione che "la marijuana, nella sua forma naturale, è una delle sostanze terapeuticamente attive più sicure tra tutte quelle note all’umanità".
I politici americani hanno mantenuto al riguardo un atteggiamento analogo a quello riservato alla distribuzione di siringhe e al trattamento a base di metadone: hanno ignorato o disatteso i risultati delle commissioni governative e delle organizzazioni scientifiche, anche per quanto riguarda la politica nei confronti della marijuana. Nel 1972, la National Commission on Marijuana and Drug Abuse (commissione nazionale per l’abuso di marijuana e di droga) creata dal presidente Nixon e presieduta da un ex governatore repubblicano, Raymond Shafer, ha raccomandato di depenalizzare il possesso di quantitativi di marijuana non superiori a un’oncia. Il presidente Nixon ha però respinto questa raccomandazione. Nel 1982, la commissione nominata dall’Accademia nazionale delle scienze è giunta alla stessa conclusione della Commissione Shafer.
Tra il 1973 e il 1978 vi è stato un cambiamento nell’atteggiamento generale: 11 stati hanno approvato norme di depenalizzazione, che hanno ridefinito il possesso di marijuana come infrazione lieve o reato minore, punibile con pene non superiori a 100 dollari di multa. Non vi è praticamente alcuna differenza tra le linee di tendenza del consumo in questi stati e quelle degli stati che hanno mantenuto una normativa più rigida. Secondo una valutazione di elevato livello scientifico, effettuata nel 1988, sugli effetti del Moscone Act, la legge di depenalizzazione varata in California nel 1976, lo stato ha economizzato, dalla data dell’entrata in vigore della legge, ben mezzo miliardo di dollari che avrebbe speso per arrestare i tossicodipendenti. Ma malgrado ciò, l’atteggiamento dell’opinione pubblica si è modificato a partire dal 1978. Nessun altro stato ha depenalizzato l’uso della marijuana, e in alcuni stati sono state anzi ripristinate leggi repressive.
Tra il 1973 e il 1989, sono stati arrestati dalle polizie di stato e da quelle locali da 360.000 a 460.000 consumatori di marijuana. Il totale annuo è sceso a 283.700 nel 1991, ma da allora è più che raddoppiato. Nel 1996, 641.642 persone sono state arrestate per motivi legati alla marijuana: l’85% di questi arresti era motivato dal solo possesso e non dalla vendita di droga. Preoccupata per l’aumento dell’uso della marijuana tra gli adolescenti, e temendo di essere considerata troppo morbida in materia di droga, l’amministrazione Clinton ha lanciato, nel 1995, un suo programma anti-marijuana. Ma le affermazioni dell’amministrazione, che ha sostenuto di aver identificato nuovi rischi nella marijuana, tra cui anche un rapporto di causa-effetto tra l’uso di queste sostanze e i comportamenti violenti, non hanno retto a un più attento esame. Né il Congresso, né la Casa Bianca sembrano intenzionati a sottoporre la politica condotta nel campo della marijuana a una commissione consultiva veramente indipendente, dato che finora commissioni del genere sono invariabilmente giunte a conclusioni considerate politicamente inaccettabili.
Al contrario, i governi di vari stati, in Europa e in Australia, e in particolare il governo olandese hanno rivisto la loro politica nei riguardi della cannabis. Nel 1976, in Olanda, la Commissione Baan ha raccomandato una politica (poi adottata dal governo olandese) di separazione del mercato delle droghe "leggere" da quello delle droghe "pesanti"; sono state inasprite le pene e aumentati gli sforzi della polizia contro il traffico di eroina, mentre nei riguardi della cannabis vi è stato un ammorbidimento. La marijuana e l’hashish possono ora essere acquistate in centinaia di "coffee shops" (caffè) in tutto il paese. E’ però vietata la pubblicità dei prodotti, la loro esposizione e la vendita a minori. La polizia chiude senz’altro i "coffee shops" che vengono colti a vendere droghe. Il possesso di cannabis non viene mai punito con l’arresto, e neppure con multe, e il governo sottopone all’imposizione fiscale le transazioni sul mercato grigio.
In Olanda oggi, per la maggior parte delle fasce d’età, il consumo di cannabis è analogo a quello degli Stati Uniti. Tuttavia, tra i teenagers olandesi la marijuana è meno diffusa che tra i loro coetanei americani. Tra il 1992 e il 1994, solo il 7,2% dei ragazzi olandesi tra i 12 e i 15 anni ha riferito di aver provato la marijuana, mentre in America questa percentuale, nella stessa fascia d’età, raggiunge il 13,5%. E sono in numero molto minore i giovanissimi olandesi che provano la cocaina, a conferma dei dati ufficiali riguardanti il successo della separazione tra il mercato della droga pesante e quello della droga leggera. La maggior parte dei genitori considerano irragionevole il furore antispinello negli Stati Uniti.
I "coffee shops" olandesi non sono comunque esenti da problemi. Molti cittadini si sono lamentati della loro proliferazione, nonché dei guasti provocati dai giovani stranieri che affluiscono in gran numero nelle città di confine olandesi. La compartecipazione della criminalità organizzata nell’industria nazionale della cannabis, oggi in espansione, è fonte di preoccupazioni crescenti. Gli sforzi compiuti dal governo olandese per affrontare il problema attraverso regole più trasparenti e sistematiche per i rifornimenti dei "coffee shops", accanto ad altre iniziative nel campo della politica in materia di droga, si sono scontrati con pressioni dall’estero, in particolare da Stoccolma, Parigi, Bonn e Washington. Verso la fine del 1995 il presidente francese Jacques Chirac ha redarguito pubblicamente il governo dell’Aja per la sua politica della droga, minacciando persino di sospendere l’attuazione degli accordi di Schengen per la libera circolazione dei cittadini tra gli stati dell’Unione Europea. Qualcuno tra gli alleati politici di Chirac è persino giunto a definire l’Olanda un narco-stato. I rappresentanti olandesi hanno risposto fornendo le prove dei successi relativi della loro politica facendo rilevare che la maggior parte della cannabis sequestrata in Francia proviene dal Marocco (che Chirac ha sempre evitato di criticare a causa delle strette relazioni del suo governo con il re Hassan). D’altra parte, il governo dell’Aja ha annunciato la riduzione del numero dei "coffee shops" e della quantità di cannabis che i clienti vi possono acquistare. I "coffee shops" sono comunque tuttora ammessi, e vi sono persino alcuni comuni che li gestiscono direttamente. Nonostante gli attacchi, nel 1990 la tendenza verso la depenalizzazione della cannabis si è andata accelerando in Europa. Nella maggior parte dell’Europa occidentale, il possesso e persino la vendita di piccole quantità di questa sostanza sono di fatto depenalizzati. La Spagna ha depenalizzato l’uso personale e privato della cannabis nel 1983. In Germania, la Corte costituzionale federale ha sancito una prudente politica di liberalizzazione della cannabis in una sua sentenza del 1994, alla quale è stata data ampia pubblicità. In questo paese, gli atteggiamenti dei Länder variano alquanto; in alcuni, come in Baviera, la politica è tuttora nettamente punitiva, ma la maggior parte dei Länder sono oggi più favorevoli alla posizione olandese. Finora, il governo Kohl ha rifiutato di approvare le proposte dei Länder, tese a legalizzare e a regolamentare la vendita della cannabis, ma sembra consapevole del crescente favore che incontrano nel paese le politiche olandese e svizzera nei riguardi dei problemi di droga locali.
Nel 1986, il parlamento del Lussemburgo votò in favore della depenalizzazione della cannabis e decise di esercitare pressioni per la standardizzazione delle leggi sulla droga nel paesi del Benelux. Il governo belga sta ora prendendo in considerazione una più moderata depenalizzazione della cannabis, combinata con misure più severe contro il crimine organizzato e i trafficanti di eroina. In Australia la cannabis è stata depenalizzata sia nell’Australia del Sud che nel Territorio della Capitale (Canberra) e nel Territorio del Nord; anche altri stati stanno prendendo in considerazione questa misura. Anche in Francia, al clamore suscitato da Chirac sono seguite raccomandazioni per la depenalizzazione della cannabis da parte di tre autorevoli commissioni nazionali. Chirac deve ora confrontarsi con un nuovo primo ministro, Lionel Jospin, che si era dichiarato in favore della depenalizzazione prima che il suo partito, il PSF, avesse vinto le elezioni nel 1997. L’atteggiamento dell’opinione pubblica sta chiaramente mutando. Da un recente sondaggio è emerso che in Canada il 5% dei cittadini è favorevole alla depenalizzazione della marijuana.

SARA’ EFFICACE?

Il governo USA ha tentato di bloccare, sia all’interno che all’estero, ogni risoluzione a sostegno della riduzione del danno; ha disatteso ricerche scientifiche quando considerava le conclusioni politicamente non convenienti e ha zittito ogni critica nel riguardi della politica ufficiale in materia di droga. Nel maggio del 1994, il Dipartimento di Stato ha imposto di disdire all’ultimo momento una Conferenza della Banca Mondiale sul traffico di stupefacenti, alla quale erano state invitate personalità critiche nei riguardi della politica statunitense in materia. Durante lo scorso mese di dicembre, all’Incontro internazionale sul Programma di Controllo della Droga delle Nazioni Unite, la delegazione USA ha rifiutato di firmare qualsiasi dichiarazione che contenesse la frase "riduzione del danno". All’inizio del 1995 il dipartimento di Stato ha esercitato con successo pressioni sulla OMS (Organizzazione mondiale della sanità) affinché non rendesse pubblica una relazione sulla cocaina commissionata dalla stessa OMS a un comitato comprendente numerosi, autorevoli esperti di livello mondiale, perché quel testo comprendeva alcune affermazioni, peraltro scientificamente incontrovertibili: vi si constatava che l’uso della foglia di coca diffuso tra le popolazioni andine non provoca gravi danni alla salute, e che la maggior parte dei consumatori di cocaina usano la sostanza in quantità moderate, con effetti negativi contenuti. Nel corso di centinaia di udienze, il Congresso ha affrontato molteplici aspetti del problema della droga, ma soltanto in pochissime occasioni sono state prese in esame le politiche europee di riduzione dei danni sopra descritte. Quando l’ex segretario di Stato George Schulz, il Surgeon Generale M. Joycelyn Elders e il sindaco di Baltimora Kurt Schmoke rilevarono il fallimento delle attuali politiche ed espressero la necessità di una nuova impostazione del problema, a seconda dei casi subirono lo scherno, l’esonero dalla carica o furono ignorati; e la loro posizione venne presentata in maniera distorta e caricaturale, come se avessero difeso a oltranza la legalizzazione delle droghe.
In Europa, al contrario, i dibattiti pubblici informati sul problema della tossicodipendenza sono sempre più frequenti a livello dei governi e anche a quello dell’Unione Europea. Nel giugno 1995 il parlamento europeo ha prodotto una relazione nella quale si riconosce che "vi sarà sempre, nella nostra società. una domanda di droga … Le politiche finora adottate non sono state in grado di impedire l’espansione del commercio illegale di sostanze stupefacenti." L’Unione Europea ha invitato a prendere seriamente in considerazione la Risoluzione di Francoforte, una dichiarazione di principi per la riduzione dei danni, sostenuta da una coalizione transnazionale di città e regioni. Nell’ottobre 1996 Emma Bonino, Commissario europeo per la politica dei consumatori, si è espressa in senso favorevole alla depenalizzazione delle droghe leggere e all’avvio di un vasto programma di somministrazione di droghe "dure". Il ministro degli affari europei della Grecia, George Papandreu, ha sostenuto la sua posizione. Nel febbraio scorso, il Principe del Liechtenstein Hans Adam si è espresso a sua volta in senso favorevole a una legalizzazione controllata della droga. Lo stesso Raymond Kendall, segretario generale dell’Interpol, citato dal Guardian del 20 agosto 1994, ha dichiarato: "Perseguire ogni anno migliaia di cittadini che per ogni altro aspetto osservano la legge rappresenta un’ipocrisia e un affronto ai diritti individuali, civili ed umani. L’uso di droghe non dovrebbe più essere considerato come un reato. Io sono, senza mezzi termini, contrario alla legalizzazione ma sono favorevole alla depenalizzazione del consumo di droghe".
Esiste ovviamente il rischio di esagerare le differenze tra le posizioni statunitensi e quelle dell’Europa e dell’Australia. Molti leader europei sono tuttora su posizioni analoghe a quelle di Chirac, che ricalcano lo stile americano. La maggior parte delle città capitali sostengono la dichiarazione di Stoccolma, favorevole alle politiche punitive e proibizioniste, redatta in risposta alla risoluzione di Francoforte. E gli olandesi sono stati costretti a lottare contro i francesi, e contro altri tentativi di uniformare all’interno dell’Unione Europea le leggi e le politiche antidroga su una linea più punitiva.
Tuttavia, negli Stati Uniti sta crescendo il sostegno al concetto della riduzione del danno, in particolare e in maniera palese tra i professionisti della sanità pubblica, ma anche, sia pure più discretamente, tra i politici responsabili dei problemi urbani e i funzionari di polizia. Uno dei programmi più innovati del mondo di scambio di siringhe, integrato da altre misure per la riduzione del danno, è stato varato proprio in America. Dati i successi dei sondaggi del 1996 sulla proposta 215 della California, per la legalizzazione dell’uso terapeutico della marijuana e della proposta 200 dell’Arizona, che prevede di consentire ai medici di prescrivere qualsiasi farmaco o droga essi ritengano appropriato, e di prospettare a chi è stato arrestato per il solo possesso di droga un trattamento obbligatorio in luogo del carcere, si ha motivo di ritenere che gli americani siano oggi più ricettivi di quanto pensino i politici rispetto a una riforma della politica antidroga.
Ma l’Europa e l’Australia sono, in generale, più disponibili degli Stati Uniti a discutere apertamente e a sperimentare pragmaticamente politiche alternative e suscettibili di ridurre i danni, sia per la società che per gli stessi tossicodipendenti. I funzionari preposti alla sanità pubblica, in molte città europee, lavorano in stretto contatto con la polizia, con i politici, con medici privati e con altre personalità, per coordinarne gli sforzi. Nell’ambito della politica delle comunità, spacciatori e consumatori sono trattati come elementi della comunità stessa, che non vanno espulsi ma possono essere messi in condizioni di nuocere meno. Sforzi del genere, compresi anche gli interventi repressivi sulle "scene" della droga, a Zurigo come a Berna e a Francoforte, sono previsti e attuati in parallelo con iniziative per la soluzione di problemi sanitari e di alloggio. Negli Stati Uniti al contrario, i politici ai quali si presentano nuove proposte non chiedono: "Saranno efficaci?" Ma soltanto: "Sono misure abbastanza severe?" Molti legislatori sono riluttanti a sostenere programmi di trattamento di tossicodipendenti che non siano punitivi, coercitivi e basati sulla detenzione e molti esponenti nel campo della giustizia penale continuano a vedere il carcere come una soluzione rapida e facile ai problemi della droga.
Le lezioni dell’Europa e dell’Australia sono però incontrovertibili. Le politiche di controllo della droga dovrebbero concentrarsi sulla riduzione della criminalità conseguente alla tossicodipendenza, sulla lotta alle malattie e alle morti, e non sul numero dei consumatori occasionali di sostanze stupefacenti. L’impegno a fermare la diffusione del virus HIV tra i consumatori di droga o per loro tramite, rendendo facilmente disponibili siringhe sterili e metadone, deve costituire la prima priorità. I politici americani devono esplorare, non ignorare e condannare automaticamente opzioni politiche promettenti quali la depenalizzazione della cannabis, la distribuzione controllata di eroina e l’integrazione del principio della riduzione del danno nelle strategie politiche delle comunità. I governi centrali devono sostenere, o quanto meno non ostacolare gli sforzi dei responsabili dei comuni e quelli dei cittadini per concepire a