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Gli avvenimenti estivi hanno sollecitato la commissione Igiene e Sanità del Senato a riprendere l’esame dei provvedimenti in materia di lotta contro il doping (AS-1637 Cortiana e altri, AS-1660 Lavagnini e altri, AS-1714 Servello e altri, AS-1945 De Anna e altri ). Nell’aprile dello scorso anno si era costituito un comitato ristretto che ha svolto una serie di audizioni. In seguito, il senatore Carella, presidente della commissione, ha elaborato un testo unificato. È intenzione della commissione chiedere la sede deliberante (nel qual caso il testo approvato dalla commissione non dovrà essere discusso anche dall’Aula) per accelerare i tempi di approvazione. Rimane da capire come questa discussione si armonizzerà con la contemporanea assegnazione alla commissione Giustizia della proposta del senatore Calvi, che tratta la materia sotto l’aspetto strettamente penalistico. Non è la prima volta che il parlamento si occupa di doping. Nel 1989 la commissione Affari sociali della Camera svolse un’indagine conoscitiva, le cui conclusioni sembrano ispirare le diverse proposte oggi presenti. La novità più importante che allora emerse è il riconoscimento del doping come problema di salute pubblica, non più circoscritto all’ambito dell’etica sportiva. Da qui anche la necessità di fare della lotta al doping un tema politico – dunque di competenza dell’autorità pubblica – di carattere internazionale. Le strategie perseguite dalle autorità sportive nazionali e internazionali sono state ritenute fortemente inadeguate, anche a causa dell’equiparazione fra doping e antidoping. Per cui viene definito atleta che effettua il doping chi risulti positivo all’antidoping. Cioè a una delle sostanze proibite dal Comitato internazionale olimpico (CIO). È stato lamentato che il CIO in questo modo proibisce solo l’uso di alcuni farmaci. Nel maggio 1994, è intervenuto sulla questione anche il parlamento europeo, approvando una risoluzione che invita gli stati membri ad adottare norme che vietino il doping nello sport. Date queste premesse possono cogliersi meglio le novità presenti nel testo unificato “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”, in discussione al Senato. In primo luogo, viene definito il doping come “la somministrazione all’atleta professionista, dilettante o amatoriale e l’uso da parte di questi, di qualunque farmaco e di qualunque sistanza farmacologicamente attiva, comprese quelle di natura endocrinologica ed ematologica, nonchè qualsiasi pratica inerente alle predette sostanze non giustificata da documentazioni patologiche ed effettuata con l’intento di migliorarne le prestazioni agonistiche o di modificarne le condizioni biologiche dell’organismo, ovvero di modificare i risultati di controlli sull’uso delle suddette sostanze”. Presso la Presidenza del Consiglio è istituito un apposito “Comitato nazionale per la tutela sanitaria della attività sportive”, di cui, fra gli altri, fanno parte il presidente del CONI e il presidente della Federazione medico-sportiva, che ratifica l’elenco delle sostanze dopanti vietate e determina i criteri per i controlli antidoping, approva i programmi di esecuzione dei controlli e individua i laboratori abilitati a eseguirli. Il comitato lavora in accordo e collaborazione con le Regioni e mantiene i rapporti con l’Unione europea. Le federazioni sportive e le società devono prevedere nei loro regolamenti il divieto del doping. I farmaci contenenti le sostanze dopanti devono essere identificati da un apposito simbolo e venduti solo dietro presentazione di ricetta medica. Le seconda parte del testo prevede le sanzioni penali: per l’illecita fornitura delle sostanze vietate la pena è da uno a quattro anni di reclusione, aumentata fino alla metà se i fornitori sono dirigenti di società o di associazioni sportive, fino al doppio se le sostanze sono state fornite a minori. I medici e i farmacisti sono punibili con la reclusione da due a cinque anni e con l’interdizione dalla professione per un periodo compreso fra i cinque e i dieci anni. Resta solo un dubbio sulla necessità di prevedere sempre e comunque l’intervento penale per tutelare la salute. Non si finisce per equiparare situazioni molto diverse, come quelle dello sport professionistico e di quello amatoriale, dove la prestazione non è legata al rapporto di lavoro, ed è quindi più libera da condizionamenti? Del resto “l’alterazione delle prestazioni fisiche” ha rilevanza diversa se fatta in ambito agonistico o meno, così come diverse sono tra loro le sostanze. Lo strumento penale se in un caso interviene a sostegno della possibilità dell’atleta di tutelare il proprio benessere, in un altro può rivelarsi coercitivo delle decisioni degli esseri umani sul proprio corpo. Siamo sicuri che sia sempre la strada migliore per tutelare la salute e ridurre i danni del doping?