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mumbai.jpgIn india è stata presa una decisione senza precedenti, la suprema Corte di Bombay, infatti, ha abolito la pena di morte per coloro che hanno commesso reati legati alla droga, diventando la prima Corte al mondo a prendere questa decisione.
Annunciando la decisione in video conferenza, i giudici hanno dichiarato incostituzionale  l’art. 31A del 1985 relativo alla legge sulle droghe e le sostanze psicoattive, che imponeva la pena di morte già dalla seconda condanna per traffico di stupefacenti.
E’ tuttavia necessario sottolineare come la Corte, di fatto, si sia trattenuta dall’abolire la legge, limitandosi invece ad attenuarla, conferendo di fatto ai tribunali la possibilità, ma non più l’obbligo di imporre la pena di morte ad una persona condannata per la seconda volta per droga secondo le quantità specificate nell’articolo 31A.
Tale importante decisione ha un effetto immediato in termini di parziale sospensione della pena per Ghulam Mohammed Malik, un uomo del Kashmiri condannato a morte nel Febbraio 2008 a Bombay dalla Corte Speciale NDPS (dedicata ai reati relativi a stupefacenti e sostanze pscicoattive) per reiterazione del reato di contrabbando di charas (resina di canapa). Malik, infatti, era stato condannato a morte senza tener conto delle circostanze individuali e dei fattori mitiganti proprio a causa della natura obbligatoria della pena relativa all’articolo 31 A.
Decisiva per questo cambio di rotta epocale è stata una petizione presentata dalla rete indiana per la riduzione del danno (IHRN), costituita da un’insieme di ONG che operano nel campo delle politiche sulla droga, che denunciava come arbitraria, eccessiva e sproporzionata al reato la pena capitale obbligatoria per lo spaccio di droga.
La Suprema Corte vi ha, infatti, risposto con questa decisione storica che Anand Grover, colui che ha guidato la campagna dell’IHRN, ha commentato definendola un importante passo avanti per le politiche sugli stupefacenti e per le campagne contro la pena di morte.
Egli ha, tuttavia, aggiunto che la decisione presa dalla Corte Suprema sarà soggetta ad un’attenta analisi con l’obiettivo di valutare se la completa abolizione della pena di morte, come fatto dalla Corte per l’articolo 303 del codice penale indiano, non sarebbe stata più appropriata.
In tutto il mondo, ancora 32 paesi impongono la pena capitale per reati legati agli stupefacenti e alle sostanze psicotrope; di questi, ben 13 Paesi (tra cui l’India fino ad oggi) prevedono l’obbligatorietà della condanna a morte per questo genere di reati.
In paesi come l’Iran e la Cina i reati di droga costituiscono la stragrande maggioranza delle persone giustiziate. Solo nel maggio dello scorso anno, la Corte d’appello di Singapore ha confermato la condanna a morte obbligatoria inflitta ad un giovane malese per possesso di eroina.
Luca Sansone, presidente IHRN, ha accolto la notizia della decisione della Corte Suprema indiana come uno sviluppo positivo, importante segnale di come i tribunali abbiano cominciato a riconoscere i principi della riduzione del danno e dei diritti umani in materia di droga.
Anche Linee Rick, direttore esecutivo della International Harm Reductione e autore di La pena di morte per reati di droga: una violazione del diritto internazionale dei diritti umani,  ha dichiarato che la decisione della Corte va a confermare a livello nazionale quello che da anni è stato sottolineato da enti internazionali per i diritti umani e creerà un precedente positivo per le autorità giudiziarie della regione, che è oppressa da terribili leggi sulla droga.