Il Dipartimento per le Politiche Antidroga guidato dal sottosegretario Alfredo Mantovano, con un comunicato alle agenzie in data 29 aprile, ha tentato di giustificare l’articolo 18 del Decreto Sicurezza sostenendo che esso non vieterebbe la coltivazione della canapa industriale e che si limiterebbe a “ribadire” quanto già previsto dalla legge 242/2016 e sancito dalla Cassazione nel 2019. Una posizione che appare quanto meno strabica, se non decisamente mistificante, alla luce delle reazioni delle associazioni di settore e dell’evidenza giuridica e costituzionale dei fatti.
In prima linea nella contestazione c’è Canapa Sativa Italia (CSI), che in un articolato comunicato del 2 maggio smonta punto per punto la ricostruzione governativa. Secondo CSI, il decreto rappresenta un colpo gravissimo alla filiera della canapa, proprio perché impedisce l’utilizzo e la commercializzazione delle infiorescenze certificate e prive di efficacia drogante, che rappresentano una parte fondamentale del bilancio economico delle imprese agricole e dei trasformatori. “Vietare l’uso dell’infiorescenza certificata e tracciata – denuncia il presidente Mattia Cusani – significa rendere economicamente insostenibile ogni altra parte della coltura”.
Una lettura distorta della sentenza della Cassazione
La Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza n. 30475/2019, ha stabilito che la legge 242/2016 non legittima automaticamente la vendita di infiorescenze, ma allo stesso tempo ha affermato un principio fondamentale: la valutazione penale deve fondarsi sul principio di offensività. Non tutto ciò che contiene THC in forma minima e non psicotropa è automaticamente droga. La soglia di non punibilità, come riconosciuto anche in successive sentenze, dipende dalla concreta capacità di produrre effetti stupefacenti. E, infatti, i prodotti oggi venduti nei cannabis shop italiani – tracciati, certificati, e con THC inferiori ai limiti di legge – non rientrano nelle sostanze pericolose per la salute pubblica.
Questa interpretazione è stata più volte sostenuta anche su fuoriluogo.it, vedi lo speciale, dove abbiamo evidenziato come l’intervento governativo abbia l’obiettivo politico di criminalizzare un settore legale e in crescita, più che di tutelare la salute.
Costituzione, Europa, realtà
CSI sottolinea come il decreto – lungi dall’essere “neutro” – violi diversi principi costituzionali: il principio di legalità, per cui nessuno può essere punito se non in base a una legge chiara; quello di proporzionalità, che impone di distinguere tra condotte effettivamente pericolose e innocue; e infine la libertà economica, che garantisce il diritto di fare impresa. Senza contare la potenziale violazione del diritto europeo, che tutela la libera circolazione di merci agricole certificate all’interno dell’Unione.
In questi anni, la filiera italiana della canapa industriale ha saputo svilupparsi – pur tra mille ostacoli – proprio sulla base di una “zona di liceità” fondata sulla trasparenza e la tracciabilità. Come evidenziato in numerosi contributi su fuoriluogo.it e nella rubrica settimanale per il Manifesto, l’approccio repressivo e ambiguo del legislatore nazionale ha da anni alimentato incertezza giuridica e rischio penale ingiustificato, scoraggiando gli investimenti in un settore innovativo e sostenibile, che oggi dà lavoro a oltre 22.000 persone.
Una proposta, non una resa
Canapa Sativa Italia, insieme a decine di associazioni di categoria e territoriali, non si limita alla denuncia. Chiede al Governo un cambio di passo: una regolamentazione razionale e fondata su dati scientifici, che distingua chiaramente tra prodotti non stupefacenti e droghe, e che tuteli la salute pubblica senza colpire imprese e lavoratori onesti. Si tratta di una richiesta di buon senso, che troverebbe d’accordo molte Regioni e settori dell’agricoltura italiana.
Ma per ora, dal Governo, tutto tace: il comunicato del Dipartimento Antidroga sembra più un’operazione di propaganda che un reale chiarimento normativo. Il rischio, sempre più concreto, è che a rimetterci sia ancora una volta la scienza, il diritto e la realtà.