Entro a San Patrignano a inizio 1989. È il momento più controverso, la comunità è in fibrillazione per una serie di coincidenze temporali: l’attesa della sentenza di Cassazione riguardante il famoso processo delle catene e il tentativo di accreditarsi come ispiratrice della politica nazionale sulle dipendenze. Data la mia condizione personale non ero in grado di capire di trovarmi al centro di tutto questo, anche se ero comunque una persona informata, sapevo bene cosa fosse quel posto e i fatti che lo riguardavano, inoltre entrare in un posto simile comportava un certo stress nell’ambientamento. Ma ci è voluto poco. Dal giorno del mio ingresso a San Patrignano in pochi mesi assisto, nell’ordine, ad una altalena di eventi di tutti i generi, una mescolanza tra fatti interni da cronaca nera ed esposizione politico mediatica a livelli di interesse nazionale.
Faccio il mio ingresso il 14 febbraio. Nel mese di marzo è previsto il primo congresso nazionale del MUVLAD, gruppo di associazioni, guidato da San Patrignano, impegnato a contribuire alla scrittura di una nuova legge sulle dipendenze, la 162/90 (Jervolino-Vassalli). Nelle prime settimane vedo passare dalla collina politici allora importanti: oltre, ovviamente, alla allora Ministra per gli Affari Sociali Rosa Russo Jervolino e all’allora Ministro di Grazia e Giustizia Giuliano Vassalli, in poche settimane ho visto Craxi, Andreotti, Signorile, Ferri, oltre a personaggi facenti del mondo dello spettacolo come Red Ronnie o dell’informazione come Indro Montanelli, sportivi e altri. Avere come sponsor la facoltosa famiglia Moratti avvantaggia molto l’immagine della comunità e consente importanti relazioni a livello internazionale.
Ma per una serie di particolari coincidenze ci sono in quei mesi avvenimenti tra loro paralleli ed in drammatica contraddizione tra loro. Mentre da una parte assisto dall’interno ad una operazione socio-mediatico-politica di altissimo livello che mi porta ad assistere a qualcosa di rivoluzionario, come a stare in uno snodo storico dove tutti gli attori che vedo sono di primissimo piano, al contempo la vita delle persone che sono in quella comunità per un bisogno personale di cura mi si rivela in tutta la sua contraddizione: nel giro di una manciata di giorni, se non di ore, si passa dall’atmosfera delle grandi occasioni all’emergere di fatti di disperazione e morte. Negli stessi giorni del congresso Muvlad si suicidano due persone, buttandosi dalle finestre per morire in mezzo a noi. Natalia Berla al mattino presto, gettandosi sul tragitto che tutti compiono per recarsi a fare colazione, Gabriele di Paola il giorno dopo, in piena mattinata si sfracella nello sterrato davanti al forno della comunità.
Ed è sempre in quella primavera ’89 che avvengono, nell’ordine, l’omicidio di Roberto Maranzano (di cui si verrà a sapere solo nel 1993), l’apposizione di inferriate a tutte le finestre, l’istituzione di una sorta di carcere interno/settore punitivo. Non bastasse, a giugno di quell’anno, per via di un litigio con il mio capogruppo per banali questioni di lavoro, mi ritrovo ad essere sottoposto a pugni e calci. Ne esco tumefatto e leggermente ferito senza quasi neanche aver capito il motivo. Lo capirò più tardi, era una di avvertimento/iniziazione. Avevo il vizio di dire troppo la mia davanti ad un ordine ricevuto e dovevo capire in fretta che la regola base era l’obbedienza, a prescindere da qualsiasi ragione. E che avere personalità o indipendenza di pensiero non era proprio quello che si richiedeva
Per quanto mi riguarda passo 4 anni in quel posto. Cerco di stare defilato, mi occupo di fare quello che posso, lavoro, studio fino al 92. Ad aprile di quell’anno vi era stato un episodio che mi aveva definitivamente disgustato, allorchè Vincenzo Muccioli pretese di condizionare la scelta di voto degli ospiti, imponendo letteralmente a tutti di votare il liberale Di Lorenzo alle elezioni politiche di primavera. Cosa ancor peggiore fu il processo pubblico al quale furono letteralmente sottoposti i pochissimi (30 su 2000) che risultavano non aderenti all’ordine. San Patrignano stava diventando una cosa tipo staterello sudamericano.
Tutto quello che segue è poi la storia di San Patrignano, la sentenza benevola della Cassazione, il caso Maranzano, la cassetta di Delogu, la condanna per favoreggiamento, la malattia e la morte di Muccioli, gli anni della gestione Andrea Muccioli, la guerra Andrea Muccioli/famiglia Moratti, fino ad arrivare alla docuserie Sanpa e quella che rimane tutta la comunicazione attuale, spesa in parte a dimenticare/negare i fatti passati, dall’altra nel tentativo di farsi accreditare, comunque e a prescindere da tutto, come modello di riferimento per la cura delle dipendenze. Ma a tutto questo assisto da casa mia, ad ottobre 92 rientro a Milano.
È da casa che assisto all’esplosione del caso Maranzano, fatto che mi colpisce, è uno shock. Soprattutto è per me una notizia che, improvvisamente, solo sei mesi dopo aver abbandonato quel posto spiega tante stranezze di quella primavera.
Cerco di mettermi in contatto con qualcuno ma mi rendo conto che avrei dovuto pensarci prima. Sono venuto via da San Patrignano portandomi via pochi contatti e indirizzi, nessuno dei quali mi può essere utile. Amici coi quali suonavo, o studiavo, giocavo insieme a calcio. Ma mi serve altro, vorrei poter entrere in contatto con qualcuno fidato. Arrivo ad avere il numero del fratello di Natalia che si era suicidata nell’89 ma non ci conosciamo, lo conservo per momenti migliori. Ad un certo punto irrompe la notizia della cassetta registrata dove Muccioli dice al suo autista Walter Delogu che bisognerebbe eliminare con una overdose un potenziale testimone della vicenda Maranzano. Vedo Delogu in televisione che si appella a chi sa come andavano realmente le cose. E c’è una coincidenza per me interessante: l’avvocato al quale Delogu aveva affidato la cassetta è il mio stesso avvocato, quello che mi aveva fatto entrare in comunità.
Così mi butto, decido di fare la mia parte: chiedo di essere ricevuto dal PM Gengarelli e vado a Rimini. Depongo per tutto quello che so riguardo i due suicidi, la questione voto 1992 e tutta la questione violenze/gruppi punitivi per quanto ne so.
Da allora, molto lentamente, grazie anche all’avvento dei social, ritrovo contatti, creiamo una rete di ex ospiti, creiamo un sito, La Mappa Perduta, cominciamo a fare una sorta di controinformazione. Per tanti anni il nostro gruppo rimane relegato in una nicchia, l’immagine di San Patrignano è molto protetta e non scalfibile. Per quanto raccogliamo e pubblichiamo testimonianze forti senza rinunciare alla nostra verità la nostra pagina rimane un po’ in ombra. Prendiamo anche qualche querela, sempre con intento intimidatorio. Io, intanto, dal 94 proseguo la mia vita e, per una serie di concause, intraprendo la attività di educatore nel campo delle dipendenze.
Ed è nel 2013 che, nell’ambito di un colloquio con un giovane che è appena entrato nella comunità dove opero, sento parlare per la prima volta della comunità Shalom, nel bresciano, dove mi narra di metodi spaventosi in un clima da incubo. La fondatrice, una suora, avrebbe creato un metodo basato su programmi pluriennali, isolamento da famiglia e resto del mondo, punizioni corporali, umiliazioni, preghiera e tanti, tantissimi farmaci. Considerato che mi trovo davanti ad un malato psichiatrico prendo nota di tutto ma mi riservo di approfondire. E in un lento lavoro, reso ancor più difficile da una certa omertà intorno alla cosa, raccolgo però nel tempo diverse conferme. C’è anche un processo derivante da denunce di ospiti, avviene nel 2016 ma la comunità viene scagionata nonostante più di 30 testimonianze perfettamente convergenti e coerenti. Ho la sensazione di ritrovarmi davanti ad una nuova San Patrignano, più di venti anni dopo.
Nel 2019 arriva la notizia che una troupe di Netflix vuole fare un documentario sulla comunità, hanno avuto modo di vedere il sito lamappaperduta.com e sono interessati a coinvolgerci per le testimonianze. La serie esce a fine 2020, riesce a rompere il muro di insindacabilità di cui la comunità godeva e l’argomento torna attuale. Ripartono anche le polemiche, le visioni opposte, i dibattiti, con la differenza che Netflix è riuscito a riportare in equilibrio le posizioni. Infatti, dal 2020, alcuni di noi testimoni iniziano ad essere coinvolti nella discussione, il punto di vista viene accreditato se non altro di una forte coerenza. Nasce una possibilità che si guardi a queste cose con una visione scientifica diversa. Di fatto mi rendo conto che viene attribuita credibilità a chi racconta la parte nascosta di San Patrignano.
Proprio in virtù di questa sorta di affidabilità data dalla mia testimonianza, oltre che del fatto che ora sono un educatore con 30 anni di esperienza nel campo delle dipendenze, avendo lavorato con importanti Onlus, mi rendo conto di avere acquisito una autorevolezza che i può facilitare, se non altro, nel tenere caldo il tema dei metodi abusanti, come ex vittima e come educatore.
E così, a febbraio 2022 entro in contatto con un ex ospite della Shalom. Molto teso, spaventato ma anche arrabbiato. Cerca qualcuno che raccolga la sua testimonianza, ha materiale, documenti e prove di maltrattamenti e percosse subite tanto da lui quanto da altre persone. Ora però la situazione è diversa. Dopo Netflix posso trovare ascolto. Sono diventato improvvisamente credibile.
Il ragazzo mi dice di aver provato a contattare tante redazioni, tra queste FanPage, ma di essersi sentito poco considerato. Mi faccio passare il suo contatto e decido di giocare la carta della provvisoria fama derivante da Sanpa. Mi rispondono subito. Incontriamo il ragazzo che inizia questo lungo lavoro di testimonianza.
Intanto resto in contatto e nel mese di aprile del 2023 la giornalista di Fanpage mi chiama per dirmi che su La7, all’interno del programma Piazza Pulita verrà presentata la prima puntata di un podcast sulla Shalom. Vengo a sapere che hanno mandato una persona infiltrata come volontaria. Il risultato è un reportage sconvolgente di 6 puntate, con relativa serie podcast.
Si riapre la discussione ma questa volta si capisce che il sistema mediatico si è riorganizzato, non c’è l’effetto-Sanpa, per quanto le testimonianze narrano cose ancor più gravi. RAI e Mediaset non ne parlano mai, Repubblica e Corsera neanche. L’unica testata che ha portato in prima pagina l’inchiesta di Fanpage è stata l’Avvenire. Eppure questa è una storia orribile, anche peggio di San Patrignano un caso esemplare di malasanità privata, di violazione di principi sanitari educativi elementari. L’inchiesta rivela rapporti della comunità interallacciati con la Procura, la Chiesa, i servizi sociali, tutte le Istituzioni, anche perché si rende sempre disponibile ad accogliere i casi spinosi, i cittadini problematici, i minori ingestibili, malati psichiatrici e ragazze anoressiche. Tutto nello stesso contenitore e poi, una volta entrati, può succedere di tutto poiché la delega è in bianco e i controlli inesistenti.
L’inchiesta di FanPage, comunque, ha un effetto positivo: si crea una connessione tra il gruppo de La Mappa Perduta e i testimoni della Shalom. Due generazioni di vittime degli stessi metodi. Da questo sorge, a fine 2023, l’Associazione Vittime di Violenza in Comunità (AVVINCO). Le finalità di AVVINCO sono: dare un punto di riferimento sulla tematica a potenziali vittime, famigliari; consulenza legale e sanitaria; lavoro di comunicazione e prevenzione; centro di raccolta documentale. Tutto quanto è ben dettagliato sul sito www.avvinco.org.
Come associazione in questo primo anno abbiamo avuto modi di incontrare direttamente la sen. Ilaria Cucchi, i deputati Furfaro e Girelli, i consiglieri regionali lombardi Paola Bocci e Luca Palladini. Abbiamo presentato la Associazione, riscontrando notevole interesse in sede CEAL e CNCA e siamo stati ospitati in trasmissione a Radio Popolare, che da sempre ci ha seguito di tempi di San Patrignano grazie alle inchieste di una coraggiosa cronista come Mari Di Martino.
Il 2025 è l’anno della promozione, AVVINCO intende collaborare con scuole, servizi sociali e sanitari, luoghi di cura, agenzie dell’informazione, parrocchie, enti di volontariato, Onlus per promuovere una cultura della cura rispettosa, fondata sulla Carta Internazionale dei Diritti del Malato. Intendiamo promuovere forme di comunicazione non violente, creative e orientate al dialogo anche con posizioni opposte. Intendiamo sollevare il velo di pregiudizio, stigma, errata informazione, paura e vergogna sociale che porta le persone fragili e le loro famiglie ad operare scelte di cura basate su ansia e cattiva informazione.