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Stati Uniti d’America, poche settimane prima del 5 dicembre 1933, data della abolizione del proibizionismo sull’alcol, Alfred Lindesmith, uno dei più grandi studiosi della questione criminale e del problema delle droghe intervista uno dei gangsters miracolati dal Grande Divieto. “La marijuana sarà il prossimo affare”, spiega il boss. “Ma”, obietta il professore, “la marijuana non è una droga che da dipendenza, come la morfina e l’eroina. E poi costa troppo poco per essere un affare interessante”. Il criminale sghignazza. “Lei non capisce. In diversi Stati stanno facendo passare delle leggi contro l’”erba”, e presto sarà messa al bando anche dallo zio Sam (…). Allora il prezzo salirà, e la cosa comincerà a farci guadagnare dei soldi”.
La capacità di fiutare gli andamenti di un mercato è una caratteristica fondamentale per ogni imprenditore di successo, e quel gangster lo era. Infatti in quegli anni spuntava nel firmamento dei proibizionisti la stella di Harry J. Aslinger, l’uomo a cui si deve la messa al bando della marijuana. Il libro di Guido Blumir racconta con precisione e divertente puntualità il percorso che Aslinger riuscì a tracciare per affermare il pregiudizio dominante sulla marijuana (è una droga, in quanto è proibita) che tuttora costringe all’illegalità trenta milioni di consumatori, solo nel mondo occidentale. La capacità di Aslinger di influire sulle decisioni politiche non si ferma nei confini U.S.A.. Nel 1955, come rappresentante del suo paese alle Nazioni Unite, riesce a far inserire la cannabis nella lista delle sostanze proibite in tutto il mondo. Sulla base di una documentazione scientifica manipolata che testimonierebbe la connessione diretta fra marijuana ed eroina (il mito della “droga di passaggio”) la Convenzione ONU del 1961 sancisce il proibizionismo mondiale sulla marijuana.
Ma la storia non si ferma al lavoro di Aslinger. Blumir ci offre una panoramica (forse un po’ troppo veloce) delle differenti posizioni nel dibattito italiano e in quello internazionale, dove si intravedono ampi spazi per giungere a una politica globale differente sulla marijuana. Ma c’è un altro punto del libro che merita particolare attenzione. E’ quello dedicato alla “bugia del sedici per cento”. Si tratta del nuovo argomento cardine della propaganda proibizionista. “Oggi la marijuana è molto più forte di quella di trenta anni fa”. Questo serve a convincere i genitori di oggi (fumatori di ieri e quindi conoscitori della sostanziale innocuità del prodotto) a non essere tolleranti verso i propri figli (potenziali fumatori di oggi). Solo se i media riusciranno a veicolare un messaggio di nuovo pericolo legato alla marijuana la demonizzazione potrà reggere e il probizionismo giustificarsi. Ma il limite di questa teoria è l’analisi delle statistiche relative alle sostanze sequestrate. Il livello medio di thc resta costante negli anni e la presenza di qualche partita adulterata non muta la realtà. Inoltre, fa giustamente notare Blumir, se la cannabis fosse legalizzata, ciascuno potrebbe scegliere la qualità da fumare, senza correre il rischio di scambiare un’acqua tonica per un bicchiere di vodka.