«L’ergastolo non è la soluzione del problema, ma il problema da risolvere». Scelgo di aprire così, con questa affermazione di Papa Francesco, la mia presentazione. Perché, al di là dei tanti e differenti punti di vista per cui l’ergastolo può essere definito come problema, Papa Francesco ci richiama con forza alla dimensione etica dell’agire per risolvere il problema, appunto. La quale corrisponde alla finalità politica di questo nuovo volume sugli ergastoli, curato per La Società della Ragione.
Rovesciando la questione, il no all’ergastolo può diventare la prima pietra del diritto penale minimo: un sistema giuridico basato su criteri affini alla «cautela in poenam», di cui parlerà molti anni dopo, nel 2014, Papa Francesco in un discorso alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale. La «cautela in poenam» è un’idea guida che contrasta col rigonfiamento della funzione simbolica della pena, essendo «negli ultimi decenni diffusasi la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina», argomenta il Pontefice. Da questa distorta percezione pubblica della pena, discendono a cascata le conseguenze indesiderate sull’intero sistema della giustizia penale: «si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative». Si arriva così al passaggio chiave del pensiero di Papa Francesco, laddove il rifiuto delle pene estreme diventa il fondamento «di sistema» della pena, seguendo il Primatus principii pro homine: «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta».
Si noti: se la ripulsa della pena di morte così come dell’ergastolo è netta, altrettanto lo è delle condizioni carcerarie disumane. In altre parole, il gancio etico della dignità umana, il Primatus principii pro homine, è guida sicura al miglioramento delle condizioni carcerarie, così come al rifiuto dell’ergastolo. Da qui il soffermarsi sulla «forma di tortura» che a volte si applica «mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza»: «con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l’isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani provocano sofferenze fisiche e psichiche e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio».
Giustizia e vendetta. La giustizia della pena «proporzionata», che restituisca il senso della sobrietà e della ponderazione (della «coscienza lacerata», si potrebbe dire) per una misura che incide così gravemente sui diritti fondamentali della persona. Una giustizia che, in quanto pienamente conscia del suo potere d’eccezione, riesca a tenere lontani «le paure e i rancori (che) facilmente portano a intendere le pene in modo vendicativo, quando non crudele, invece di considerarle come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale», è ancora il Papa a parlare.
Questo modo pensoso di intendere la giustizia prende la distanza dalla vendetta, così come dall’impunità del reo.
*tratto da Contro gli ergastoli (a cura di Stefano Anastasia, Franco Corleone, Andrea Pugiotto), Futura editrice, 2021
Foto: di Alfredo Borba – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=34671623