Pubblichiamo la sintesi dell’appello promosso da la Società della Ragione sulla legge sul femminicidio.
Per la Giornata internazionale della donna 2025 il Governo Meloni ha presentato il disegno di legge che introduce il delitto di femminicidio, approvato dal Senato e ora alla Camera (ddl n. 2528).
Il ddl femminicidio è l’ultimo di una serie di provvedimenti che affrontano la violenza di genere con politiche senza risorse, incapaci di prevenirla. Si tratta di norme penali che inaspriscono le sanzioni: usi simbolici del diritto penale, ispirati a panpenalismo e securitarismo. L’assenza di risorse significa mancanza di investimenti nell’educazione al rispetto e nel contrasto alla cultura patriarcale.
La nuova fattispecie autonoma è stata corretta al Senato introducendo i concetti di “controllo”, “possesso”, “dominio”, “rifiuto di instaurare o mantenere un rapporto affettivo”, “limitazione delle libertà individuali della donna”. Correttivi però insufficienti: resta la fattispecie autonoma, la pena obbligata dell’ergastolo e il riferimento alla donna in una logica binaria.
L’articolo si inserirà nel Codice penale di Rocco, che ancora recita “chiunque cagiona la morte di un uomo”. Il paradosso è evidente: si nomina il femminicidio, ma se non rientra nel nuovo articolo 577-bis, la morte della donna viene ricondotta all’uccisione di un uomo.
Siamo consapevoli della gravità della violenza maschile contro le donne, ma anche dell’inefficacia degli strumenti penali se non accompagnati da un cambiamento culturale e della necessità di contrastare il cattivismo penale con politiche sociali e di supporto.
L’idea di codificare il “femminicidio” come reato autonomo, punito con l’ergastolo obbligatorio, nasce da una volontà simbolica più che giuridica. Si poteva intervenire con una circostanza aggravante nell’articolo 577, come accade per altri omicidi aggravati. Invece si è scelta la pena perpetua automatica, che nega proporzionalità e individualizzazione.
Una simile norma non tutela le donne: costruisce solo un diritto penale manifesto, che esibisce severità più che garantire giustizia. Dietro la promessa di protezione si nasconde un populismo penale che confonde la lotta alla violenza con la ricerca di consenso.
Anche le norme procedurali mostrano come la finalità del ddl sia enfatizzare il paradigma vittimario, introducendo un’impropria interlocuzione con la persona offesa sulla pena, trasformando il reato in un affare privato.
Chi uccide una donna non è un “mostro” separato dal mondo: è il prodotto della stessa normalità patriarcale che vogliamo trasformare. Come ha ricordato Grazia Zuffa, il penale tende a “mostrificare” il colpevole, tracciando una linea tra normalità e anormalità. Questa dinamica, amplificata da una deriva del femminismo punitivo, rischia di trasformare il femminicida nel simbolo assoluto del male patriarcale. Così la pena diventa vendetta, non giustizia.
L’articolo 575 del Codice penale recita: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore a ventuno anni.” Nel 2025 è inaccettabile che il valore della vita sia espresso al maschile. Sostituiamo “uomo” con “persona”. Solo così la legge parlerà il linguaggio dell’eguaglianza reale.
Per questo ci rivolgiamo alle Deputate per chiedere:
- di non approvare senza modifiche il ddl n. 2528;
- di eliminare l’ergastolo come pena obbligata;
- di sostituire nel Codice penale “uomo” con “persona”;
- di eliminare l’interlocuzione con la persona offesa nella richiesta di applicazione della pena;
- di cancellare l’estensione dell’anno di osservazione ai condannati e la riduzione dei permessi premio ai minori;
- di eliminare la previsione delle dichiarazioni dei congiunti per la concessione dei benefici penitenziari.
L’appello integrale su societadellaragione.it/femminicidio
