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Per il trattamento dei minori che non si riconoscono nel sesso assegnato alla nascita e sperimentano perciò forme di disagio psicologico (definite “disforia di genere”), dal 2012 è in vigore in diversi paesi il cosiddetto “protocollo olandese”, che prevede la possibilità di attuare un blocco temporaneo della pubertà tramite la somministrazione di un farmaco chiamato “triptorelina”. La finalità è quella di consentire al minore di guadagnare tempo e di riflettere con più calma sulla propria identità di genere. In Italia, l’uso della triptorelina per il trattamento della disforia di genere è consentito in forma off label da una determina dell’Agenzia del Farmaco-Aifa del 2019 che a sua volta recepiva le indicazioni di un parere del Comitato Nazionale per la Bioetica-Cnb del 2018.

Negli ultimi mesi, alcuni paesi (come Svezia, Finlandia, Norvegia e Inghilterra) hanno ritenuto di dover limitare l’uso della triptorelina, mentre in Italia la discussione si è riaperta in seguito a un’ispezione ministeriale all’Ospedale Careggi di Firenze. Lo scorso 17 dicembre il Cnb ha pubblicato un nuovo parere sulla triptorelina, in risposta a un quesito del Ministero della Salute che invitava a riconsiderare il problema. Va ricordato che l’interrogativo posto al Cnb non riguardava la prescrivibilità del farmaco, che è sempre e comunque garantita dall’autorizzazione delle agenzie del farmaco europea e italiana, quanto la sua rimborsabilità da parte del Ssn.

Le indicazioni emerse sono state sostanzialmente tre.  La prima è l’esigenza di irrobustire i dati scientifici sull’efficacia e i rischi dell’uso dei bloccanti della pubertà. Di conseguenza, il Cnb ha sottolineato la necessità che il Ministero della Salute si faccia carico di finanziare studi clinici indipendenti di qualità superiore rispetto a quelli già realizzati. In secondo luogo, il Cnb ha auspicato che le prescrizioni avvengano solo nell’ambito delle sperimentazioni e solo a seguito della constatata inefficacia di un percorso psicoterapeutico/psicologico, ed eventualmente psichiatrico. Il Cnb ha riconosciuto tuttavia che la somministrazione del farmaco possa avvenire anche al di fuori di tali sperimentazioni, per esempio nel caso di diniego del consenso alla partecipazione agli studi da parte del minore e della famiglia o a seguito di specifiche valutazioni cliniche del medico. In tal caso, tutti i dati relativi all’intero percorso dovrebbero essere trasmessi a un apposito Registro centralizzato, istituito presso una istituzione sanitaria pubblica.

Dal mio punto di vista la risposta del Cnb è accettabile perché coerente con il parere del 2018 che aveva reso possibile trasformare un sistema in quel momento privo di regole in un protocollo di garanzia per i giovani pazienti, anticipando di anni quanto avvenuto solo di recente in molti Paesi europei ed extraeuropei.

Vorrei fare due precisazioni. La prima riguarda la sostanziale differenza, a livello numerico, tra la situazione italiana, caratterizzata da prescrizioni contenute del farmaco, e quella dei paesi che hanno limitato l’uso della triptorelina. Pur in assenza di dati ufficiali, le numerose audizioni hanno dimostrato che in Italia l’uso del farmaco negli ultimi cinque anni è avvenuto secondo criteri di prudenza conformi alle indicazioni del parere del 2018.

La seconda riguarda il pericolo, che spesso emerge nelle discussioni sul tema, di contrapporre intervento farmacologico e intervento psicologico e sociale. Come giustamente ha ricordato Grazia Zuffa nella sua nota di astensione, essi dovrebbero avere la stessa finalità, vale a dire quella di aiutare il minore a fare chiarezza sulla sua identità di genere senza alcun pregiudizio riguardo all’esito possibile, che può condurre sia alla transizione di genere (di carattere medico e farmacologico o puramente sociale) sia alla riconferma del sesso assegnato alla nascita.