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Per osservare ciò che si muove nel campo delle politiche sulla cannabis può essere interessante indagare i contesti locali dove queste producono i loro effetti. Da questa prospettiva la Sardegna rappresenta un caso interessante soprattutto in tema di coltivazioni illegali considerando che, negli ultimi anni, l’isola si è collocata ai primi posti tra le regioni italiane per numero di piante di cannabis sequestrate. Questo fenomeno è stato affrontato in modo puntuale da un recente lavoro di ricerca dell’Osservatorio Sociale sulla Criminalità dell’Università di Sassari (a cura di Antonietta Mazzette, La criminalità in Sardegna. Reati, autori e incidenza sul territorio, Quarto rapporto di ricerca, Edes 2014). La ricerca segnala come, dal 2010 al 2014, in Sardegna ci siano stati 516 sequestri di coltivazioni di cannabis da parte delle forze dell’ordine che hanno portato alla confisca di oltre trentamila piante. Il fenomeno è però tutt’altro che omogeneo. Dall’indagine emerge una differenza sostanziale tra i sequestri avvenuti in aree urbane e quelli avvenuti nei comuni con meno di tremila abitanti. Nel primo caso si assiste infatti alla prevalenza di coltivazioni domestiche, realizzate con modalità che vanno dalla semplice coltivazione in vaso a coltivazioni indoor più sofisticate che utilizzano sistemi elettronici di illuminazione e aereazione. Si tratta in prevalenza di piccole coltivazioni, ovvero coltivazioni che sembrano destinate all’autoconsumo, allo scambio amicale oppure al piccolo spaccio. Nel secondo caso spicca invece la presenza di coltivazioni di grandi dimensioni (da 500 fino a oltre 2000 piante), collocate prevalentemente in terreni agricoli, con logiche che prevedono modalità organizzative complesse. Queste spesso mostrano la compresenza di altre attività illegali e della diffusione di armi da fuoco come elemento di sfondo che permea alcuni contesti territoriali dell’isola. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, gran parte dell’attività delle forze dell’ordine si è concentrata sulla prima tipologia di coltivazioni. Da un’analisi dei dati dell’Osservatorio fatta da chi scrive, risulta evidente come circa il 29% dei casi abbia riguardato sequestri in cui erano presenti massimo cinque piante, che sale a quota 42% se si considerano i sequestri di massimo 10 piante. Inoltre, nei casi delle coltivazioni più consistenti non è raro che gli autori siano rimasti impuniti.

Fin qui i risultati della ricerca da cui è possibile trarre alcune considerazioni. In primo luogo occorre vedere come l’azione repressiva contro le droghe in questi ultimi anni abbia avuto l’effetto di concentrarsi su quelli che Grazia Zuffa, nel V Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi ha chiamato i “pesci piccoli”, ovvero coloro che hanno commesso reati di lieve entità (scarica il libro bianco 2014). Il caso delle coltivazioni di marijuana in Sardegna sembra suggerire che questo non sia avvenuto solo in relazione alla carcerazione, ma a partire da un’azione delle forze dell’ordine sbilanciata sul piccolo consumo. In secondo luogo la normalizzazione del consumo di cannabis che è avvenuta nell’isola si è realizzata in un quadro di politiche che, colpendo in modo forte la piccola produzione, hanno lasciato maggiori spazi di manovra a gruppi criminali strutturati nel territorio. È anche da questa prospettiva che occorre osservare come dalla Sardegna si siano mosse azioni esemplari della magistratura, quali ad esempio la sentenza del giudice Carlo Renoldi del 2011 (corte d’appello di Cagliari), che hanno sostenuto come, in alcuni casi, l’autocoltivazione possa erodere dall’interno la domanda senza finanziare l’attività della criminalità organizzata (cfr. Franco Corleone, “Un’assoluzione esemplare”, Il Manifesto, 27 gennaio 2012).