L’immobilismo dell’amministrazione penitenziaria verso il diritto alla sessualità è durato ben oltre un anno. Tanto è il tempo che separa la sentenza della Corte costituzionale (la n.10/2024), che apriva ai colloqui intimi all’interno delle carceri, dalle tanto attese linee guida, emesse dal DAP lo scorso 11 aprile. In questi 14 mesi di “latitanza”, il Governo si era limitato all’istituzione di un “gruppo di lavoro multidisciplinare”; in nessun istituto del nostro paese è stato possibile svolgere una visita intima, nonostante l’invito della Consulta ad un’azione concreta dell’amministrazione penitenziaria, in tutte le sue articolazioni.
Eppure ne sono successe di “cose” nell’attesa. A settembre 2024, 55 detenuti a Rebibbia inviavano un reclamo collettivo al Garante regionale dei detenuti, per denunciare la mancata concessione di colloqui intimi. Le richieste giungevano anche da alcuni istituti penitenziari, come il carcere “Due Palazzi” di Padova, che si dichiarava pronto a poter svolgere i colloqui intimi in appositi container o prefabbricati posizionati in alcune aree verdi del cortile; iniziative sperimentali a cui il Governo poneva un freno. Davanti all’assordante silenzio dell’amministrazione penitenziaria, più voci provenienti da istituzioni, associazioni e dottrina denunciavano la palese violazione di un diritto costituzionalmente riconosciuto. In Parlamento numerose erano le sollecitazioni presentate al ministro Nordio con interrogazioni parlamentari. A gennaio 2025, la Cassazione con la sentenza n.8 del 2025, rimarcava la natura di diritto soggettivo, e non di mera aspettativa, dei colloqui intimi; diritto costituzionalmente fondato e giurisdizionalmente esigibile. Una pronuncia che, di fatto, faceva da “apripista” ad una serie di ordinanze dei magistrati di sorveglianza di accoglimento dei reclami ex art. 35 bis, presentati nei primi due mesi del 2025. La prima, in ordine cronologico, era quella del 29 gennaio 2025 del magistrato di Spoleto Fabio Gianfilippi che accoglieva il reclamo, ordinando all’amministrazione penitenziaria di consentire i colloqui intimi entro 60 giorni, seguita da quella della magistratura di sorveglianza di Reggio Emilia, Pescara e Verona.
D’ora in poi, per i quasi 17mila potenziali fruitori, i colloqui intimi saranno concessi nello stesso numero di quelli visivi e avranno durata massima di due ore. Ad usufruirne, come indicato dalla Corte, potranno essere il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona stabilmente convivente. Una priorità verrà accordata a coloro che dovranno scontare lunghe pene e che non hanno potuto accedere a benefici per coltivare l’affettività. Sono esclusi quei detenuti sottoposti a regimi detentivi speciali previsti dagli articoli 41-bis e 14-bis dell’Ordinamento Penitenziario. Coloro che hanno commesso infrazioni disciplinari, per ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, non potranno ottenere colloqui intimi prima di sei mesi dall’infrazione. In ogni caso non possono accedere al beneficio i detenuti sorpresi con sostanze stupefacenti, telefoni cellulari od oggetti atti a offendere. Dovranno essere i Provveditori a individuare strutture penitenziarie dotate di locali idonei e ad adottare le misure organizzative necessarie. La polizia penitenziaria sorveglierà solo dall’esterno la camera, arredata con un letto e annessi servizi igienici e senza la possibilità di chiusura dall’interno. Restano alcune perplessità sull’adeguatezza dei tempi, in nome di quell’”adeguatezza” invocata dalla Corte, rispettando la disciplina all’art 61, che prevede colloqui lunghi con la possibilità di consumare un pasto (anziché quella dell’art. 37 del regolamento penitenziario) e sul rischio che prevalga una modalità assimilabile più ad un premio che ad un diritto.