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Praticamente in simultanea con la presentazione in Senato del 3° Libro Bianco sulla Legge Fini-Giovanardi e con il  lancio della campagna del nostro Dipartimento Politiche Antidroga “Chi compra DROGA finanzia le MAFIE”, martedì 26 giugno è stato reso pubblico il rapporto “Counting the Costs of the War on Drugs” (Contando i costi della guerra alle droghe), approntato come “Alternative World Drug Report” da un gruppo formidabile di esperti e organizzazioni internazionali (vai al sito della campagna Count The Cost).

Questo non è certo il primo rapporto che fa l’autopsia ai disastri della guerra alla droga  – si pensi per esempio a quello recente della Global Commission, qui più volte citato e commentato. Ma ogni giorno che passa il bilancio di fa sempre più pesante, come del resto sono costretti ad ammettere anche la maggior parte dei nostri media, quando per esempio ci parlano a triplo paginone degli orrori messicani.

La nuova analisi, si incentra su alcuni punti che val la pena di scorrere sinteticamente.

1. Si sprecano miliardi, si scardinano le economie. I miliardi della  repressione sono (in dollari) almeno un centinaio all’anno, senza effetti significativi sulle dimensioni del narcotraffico (almeno $ 330 miliardi annui) e con una grandinata di danni collaterali al livello economico e socio-antropologico: infiltrazione capillare delle economie legali, crescente ostilità nei riguardi di chi rispetta le regole…

2. Si colpiscono sviluppo e sicurezza, versando benzina sul fuoco dei conflitti. L’escalation della violenza e della corruzione seguita a crescere in modo esponenziale; i danni ai territori e alle popolazioni più deboli e meno sviluppati diventano incommensurabili: per la violazione dei diritti umani,  la distruzione di ecosistemi fragili, lo scoraggiamento di investimenti con finalità positive e legittime…

3. Si favorisce la deforestazione e l’inquinamento, a partire dalle attività di distruzione chimica dei raccolti, che accelerano il disboscamento e la messa a cultura di sempre nuove aree.

4. Si crea crimine e si arricchiscono i criminali, non solo fomentando i noti conflitti alla messicana, ma trasformando milioni di cittadini consumatori, altrimenti rispettosi delle leggi e delle regole del vivere civile, in criminali, riempiendo sempre più i carceri di tutto il mondo.

5. Si minaccia la salute pubblica, disseminando malattia e morte, un problema che conosciamo sin troppo bene  – e ancora meglio lo conoscono i russi, che registrano tra gli iniettori di droga di strada oltre l’80% di sieropositivi e malati di AIDS.

6. Si ledono gravemente i diritti umani, come il diritto alla salute (quindi anche all’accesso al ventaglio più ampio possibile di  misure di riduzione del danno), alla privacy, al due process  (cioè al rispetto delle dovute forme di giudizio), alla libertà di pensiero e di azione; e questo, punendo in maniera sproporzionata comportamenti che non dovrebbero essere considerati reati e neanche infrazioni; incarcerando a dismisura spesso prima di qualsiasi giudizio; usando trattamenti degradanti sino alla tortura  (per non parlare dei paesi in cui vige la pena di morte); calpestando culture indigene come nel caso della criminalizzazione dell’uso di foglie di coca.

7. Si promuove lo stigma e la discriminazione, come mostra per esempio l’enorme disparità di trattamento, sia extragiudiziale che giudiziale, a parità di azioni imputate, tra bianchi e minoranze etniche negli USA (da noi basti pensare all’abissale divario tra i destini di un Lapo Elkann e di tanti poveracci incarcerati e all’occorrenza massacrati di botte). Qui vengono enfatizzati sia la particolare vulnerabilità dei soggetti più giovani e delle donne, sia l’influenza nefasta della retorica populista dei media, dei politicanti, dei loro portaborse istituzionali.

L’ottavo e ultimo punto è dedicato alle opzioni e alternative, una questione già ampiamente discussa in questa sede e che porta alla scelta della legalizzazione controllata come unica via di uscita dall disastro attuale. Legalizzazione e non liberalizzazione, due vie spesso strumentalmente assimilate tra loro dai proibizionisti per screditare l’antiproibizionismo, considerato che la liberalizzzione tout court è in effetti suscettibile di produrre danni collaterali paragonabili a quelli del proibizionismo. (Tale distinzione è bene illustrata dal filosofo del diritto Persio Tincani nel suo “Perchè l’antiproibizionismo è logico (e morale)”, Sironi editore, 2012). Counting the Costs non si ferma, comunque, a un antiproibizionismo  esclusivamente o prevalentemente utilitaristico (perchè spendiamo così tanto  per ottenere così poco e produrre guasti così gravi), che come mostra ancora Tincani può agire come un boomerang; ma esegue  i suoi più efficaci affondi principalmente sulla questione dei diritti umani e dell’etica dei rapporti sociali.

Questa rivoluzione copernicana nel cielo della droga, insomma, sta ormai conquistando un’egemonia che alla lunga difficilmente potrà esser contrastata dai tolemaici di turno, a partire dal nostro governo e dal nostro DPA (che per meglio chiarire l’indirizzo dell’Italia ha firmato a Stoccolma la dichiarazione del cartello proibizionista  guidato da USA e Russia). Un’ ultima osservazione riguarda l’acuto commento in Counting the Costs sugli indirizzi da sempre proibizionisti dell’Agenzia droga e crimine dell’ONU. Di fronte ai disastri della guerra alla droga, questa si sta avviando a un discorso “copernicano”; ma le sue prassi rimangono per ora “tolemaiche”, al servizio degli USA e della Russia che ha avuto il comando di detta Agenzia. Insomma, vale sempre la antica battuta di Albert Einstein: “Un collega fisico lo giudico non da quello che dice, ma da quello che fà”.

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