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L’America latina sta attraversando una crisi del sistema carcerario senza precedenti. Il boom della popolazione detenuta ha portato all’estremo il sovraffollamento, esacerbando i problemi degli spazi di vita, della nutrizione, della salute e della sicurezza dei detenuti. Quasi non passa mese senza che i titoli dei giornali sudamericani non riportino notizia di rivolte dei detenuti. Piccoli incidenti possono sfociare in enormi disastri umani, come nel caso- sfortunatamente non eccezionale –  del recente incendio in una prigione dell’Honduras che ha causato la morte di 400 persone.

Molti osservatori imputano la crisi carceraria alla war on drugs, portata avanti negli ultimi quaranta anni. Per verificare questa ipotesi, il Transnational Institute e il Washington Office on Latin America hanno di recente promosso uno studio specifico, condotto da esperti provenienti da otto paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Messico, Perù e Uruguay. Il rapporto, intitolato Le leggi antidroga e il sovraffollamento carcerario in America latina, conferma l’esistenza del rapporto  fra le leggi antidroga e il deterioramento delle condizioni carcerarie. Nella gran parte dei  paesi, l’introduzione di leggi antidroga severe è in relazione diretta con l’aumento della popolazione carceraria. Queste leggi spesso contemplano pene detentive straordinariamente alte, che, seppur  previste dai trattati internazionali sulla droga delle Nazioni Unite, contrastano però con le norme base internazionali sul giusto processo e i diritti umani, spesso perfino con le costituzioni nazionali. Ad esempio, a volte i tribunali speciali previsti nelle leggi antidroga rovesciano la presunzione d’innocenza, mentre è frequentemente violato il diritto dell’imputato alla difesa.

I paesi dell’America latina non hanno avuto sempre legislazioni così dure. In alcuni paesi, come l’Argentina e il Brasile, le leggi sono state cambiate in presenza di regimi autoritari. Ma per lo più la svolta legislativa è avvenuta su pressione internazionale, sulla scia delle tre Convenzioni Onu che hanno promosso l’inasprimento delle sanzioni. In alcuni casi, le leggi nazionali sono andate perfino oltre il dettato internazionale, sotto la spinta della war on drugs condotta dal governo Usa (che ha condizionato aiuti economici e vantaggi commerciali all’accettazione della sua politica antidroga).

Queste in sintesi le conclusioni dello studio: nella generalità dei paesi, le pene sono sproporzionatamente alte (da 12 a 25 anni), specie in rapporto ad altri reati. Ad esempio, in Ecuador, dove il massimo per omicidio è di sedici anni, un piccolo trafficante può rimanere in carcere più a lungo di un assassino. Inoltre, i piccoli spacciatori e i“corrieri” sono trattati alla pari dei grandi trafficanti e non c’è distinzione fra reati violenti e non. Un’alta percentuale di detenuti è accusata di  semplice detenzione di droga, mentre non è facile trovare i “signori della droga” dietro le sbarre. I casi più preoccupanti sono quelli della Colombia e del Messico: nel primo, solo il 2% dei detenuti sono trafficanti di alto-medio livello, mentre nelle carceri messicane il 75% è detenuto per possesso di piccole quantità.

Infine, aumenta il numero delle donne detenute per droga: con conseguenze devastanti sulle condizioni dei bambini che rimangono senza tutela affettiva e sostegno economico.

Il rapporto su http://www.druglawreform.info

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