In un mondo in costante evoluzione, due Rapporti di Harm Reduction International (HRI) offrono una finestra sulle trasformazioni e sui paradossi che caratterizzano oggi il sistema giudiziario internazionale. Da un lato, il rapporto Gaining Ground (scarica qui) racconta il percorso – non sempre lineare – verso una riforma penale che mira a porre al centro la tutela dei diritti umani e l’approccio riabilitativo; dall’altro, The Death Penalty for Drug Offences: Global Overview 2024 (scarica qui) svela la realtà agghiacciante della pena capitale per reati legati alle droghe, una pratica ancora in vigore in numerose parti del globo.
Un sentiero di riforma tra progressi e contraddizioni
Nel documento Gaining Ground emerge un quadro di speranze e iniziative volte a superare il vecchio paradigma della mera repressione. In diverse nazioni – a volte in maniera parziale o a fasi progressive – si stanno abbandonando le misure repressive in favore di strategie che privilegiano i trattamenti e il rispetto della dignità umana. L’avvento di nuove normative e l’impegno di organizzazioni civili e internazionali sembrano aprire una via verso un sistema giudiziario più equo e umano. Tuttavia, questo processo di rinnovamento non è uniforme: tradizioni legali secolari e resistenze istituzionali continuano a rappresentare un ostacolo significativo alla piena realizzazione delle riforme.
In netto contrasto con questo percorso di modernizzazione, il rapporto dedicato alla pena di morte per reati legati alle droghe mette in luce una realtà che, per molti aspetti, appare congelata nel tempo. Nonostante le pressioni internazionali e i ripetuti appelli per l’abolizione, numerosi paesi mantengono il ricorso a misure estreme per contrastare il traffico e l’uso di sostanze stupefacenti. In specifici contesti di Asia, Medio Oriente e alcune nazioni africane, la pena capitale viene usata non solo come deterrente, ma anche come strumento di controllo politico e sociale. Le statistiche e le analisi mostrano un panorama fortemente eterogeneo: mentre in alcune regioni si assiste a un progressivo allontanamento da questa misura, in altre la centralità della funzione retributiva della pena, portata all’estremo limite della vita umana, continua a imporre limiti quasi inamovibili al progresso giuridico e sociale.
2024: un anno di esecuzioni legate alla droga
Dopo un periodo di cauto ottimismo tra il 2018 e il 2020, HRI segnala un aumento costante delle esecuzioni per reati di droga a partire dal 2021. Questa tendenza ha raggiunto livelli critici nel 2024: sono 615 le esecuzioni confermate, rendendo il 2024 l’anno più letale dal 2015. Le esecuzioni note sono aumentate del 32% rispetto al 2023 e addirittura del 1950% rispetto al 2020, anno con il numero più basso registrato. Va sottolineato che il dato di 615 esecuzioni non include le centinaia, se non migliaia, di esecuzioni probabilmente avvenute in Cina, Corea del Nord e Vietnam, dove la censura statale impedisce di documentare in modo affidabile i casi.
Le esecuzioni confermate o presumibilmente avvenute riguardano sei paesi: Cina, Iran, Corea del Nord, Singapore, Arabia Saudita e Vietnam. L’Iran da solo è responsabile del 79% delle esecuzioni note per droga, con 485 persone giustiziate, confermandosi il maggiore esecutore globale insieme alla Cina da cui come detto non arrivano dati certi. L’Arabia Saudita ha registrato l’aumento più netto: 122 persone giustiziate per droga nel 2024, contro solo 2 nel 2023 — un aumento del 6000%, il numero più alto mai registrato nel Regno. Anche Singapore ha visto una crescita: 8 impiccagioni tra agosto e novembre 2024. Questi sei paesi rappresentano un gruppo molto ristretto, ma sono responsabili di un numero sproporzionato di esecuzioni, segno di una determinazione allarmante nel mantenere una punizione disumana, inefficace e in violazione del diritto internazionale.
Nel 2024, circa il 40% di tutte le esecuzioni note nel mondo (quasi una su due) è stata eseguita per reati legati alla droga. A livello nazionale, questi reati rappresentano: il 52% delle esecuzioni in Iran, l’89% in Singapore e la maggioranza delle condanne a morte confermate in Indonesia, Iraq, Laos, Malesia, Singapore e Vietnam.
Tra le persone giustiziate, almeno 18 erano donne e 136 erano cittadini stranieri (oltre il 20%), dato che evidenzia la sovra-rappresentazione degli stranieri, spesso vulnerabili e senza strumenti per affrontare i sistemi giudiziari locali.
Nel 2024, almeno 377 persone sono state condannate a morte per droga in 17 paesi, tra cui 11 donne e 20 cittadini stranieri. Questi numeri sono probabilmente solo la punta dell’iceberg, vista la scarsità di dati aggiornati e disaggregati, specialmente nei paesi ad “alta applicazione” come Iran e Arabia Saudita.
Ci sono stati segnali positivi in Malesia, grazie alla riforma del 2023 che ha abolito l’obbligatorietà della pena di morte, e riduzioni apparenti in Indonesia e Vietnam (anche se forse dovute a carenze di monitoraggio). Tuttavia, la situazione è peggiorata in altri contesti, in particolare in Iraq, dove si parla di oltre 140 condanne a morte per droga nel 2024: un aumento del 658% rispetto all’anno precedente. Anche il numero totale di esecuzioni in Iraq (soprattutto per terrorismo) ha raggiunto livelli record, spesso con processi di massa segnati da torture e violazioni dei principi del giusto processo. Questi segnali fanno temere che presto potrebbero iniziare anche le esecuzioni per droga.
In Pakistan, la pena di morte per reati di droga è stata formalmente abolita nel 2023. Tuttavia, secondo Justice Project Pakistan, nel 2024 tre persone sono state comunque condannate a morte per droga, a dimostrazione della necessità urgente di riforme giudiziarie e di formazione. Infine, il report sottolinea come migliaia di persone siano ancora nel braccio della morte per reati legati alla droga in almeno 19 paesi, molte delle quali a rischio imminente di esecuzione.
L’urgenza di un impegno globale e condiviso
La sintesi dei due rapporti invita a riflettere su un tema cruciale: come conciliare il percorso di riforma progressista con la persistenza di misure punitive estreme? Il cammino verso una giustizia realmente riformatrice, capace di abbandonare pratiche che mettono in discussione il rispetto della vita e dei diritti fondamentali, richiede uno sforzo condiviso a livello internazionale. Le strategie che puntano alla decriminalizzazione, alla riduzione del danno sino alla riabilitazione e al reinserimento sociale devono essere rafforzate, affinché possano sostituire progressivamente modelli repressivi e polarizzanti.
Il contrasto descritto dai due studi di HRI Global evidenzia l’importanza di superare l’apparenza di modernizzazione di alcuni sistemi giudiziari per affrontare in modo diretto e risolutivo le radicate pratiche punitive. Solo un impegno multilaterale, capace di mettere insieme esperienze e modelli alternativi, potrà garantire una evoluzione coerente e rispettosa della dignità umana in ogni parte del mondo.