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Nel mese di agosto gli articoli sulla legalizzazione hanno scandito il tempo delle vacanze sui giornali in lingua inglese. Un fuoco di fila non indifferente, viste le testate interessate e gli autori degli articoli, la gran parte dei quali si pronuncia in favore della legalizzazione, con argomenti diversi, di cui ora vi diamo brevemente conto.

Ad aprire le danze è il Financial Times del 7 agosto scorso, con un editoriale di Willem Buiter (professore di politica economica europea alla London School of Economics) intitolato “Legalizzare la droga per sconfiggere i terroristi”.

“Legalizzare, regolamentare, tassare, educare e riabilitare”. Questo, in sintesi, è il programma che Buiter illustra nell’articolo.
Tutte le sostanze illegali, sostiene il professore, andrebbero legalizzate e sottoposte a tassazione per poi destinare le risorse così ottenute all’educazione della popolazione, soprattutto di ragazzi e bambini, sui rischi conseguenti all’assunzione di droghe e alla terapia riabilitativa dei tossicodipendenti. Il principio è che vadano criminalizzati i comportamenti che danneggiano terzi e non quelli che danneggiano solo chi li agisce. L’articolo procede elencando una serie di argomenti pragmatici a favore della legalizzazione, compreso il depotenziamento delle organizzazioni criminali e dei terroristi, specialmente dei Talebani, la cui mediazione nel mercato dell’oppio verrebbe decisamente recisa se si decidesse di comprare l’intero raccolto afghano di oppio e venderlo in regime di legalizzazione sia come medicinali che come eroina o altre droghe precedentemente illegali.

L’11 agosto, segue a ruota sulle colonne del quotidiano economico britannico l’editoriale di Matthew Engel, con argomenti più politici e meno economici. La tesi di fondo di “Alta società” è che nessuna decisione di un moderno governo democratico ha mai – secondo Engel – causato tanta morte e miseria quanto le leggi che hanno escluso dalla legalità l’industria ricreazionale della droga per poi mettere il monopolio mondiale della distribuzione nelle mani di organizzazioni come la Mafia.

Qualche giorno dopo, il 16 agosto, sempre il Financial Times accoglie anche il punto di vista dell’altra campana, quella proibizionista, rappresentato dall’articolo di Joseph Califano “La legalizzazione della droga gioca alla roulette russa”, che cerca di rispondere a Buiter sostenendo, tra le altre cose, che la legalizzazione conduce a una maggiore disponibilità, e maggiore disponibilità significa – secondo Califano – maggiore consumo.

Attraversiamo l’Atlantico e troviamo “La guerra perduta” un ricco articolo sulla guerra alla droga firmato da Misha Glenny e pubblicato sul Washington Post del 19 agosto. “Trentasei anni e centinaia di miliardi di dollari dopo che il Presidente Richard M. Nixon ha dato inizio la guerra alla droga, in tutto il mondo si consuma più droga e i criminali fanno più quattrini di quanti ne abbiano mai fatto prima”. Al termine di questa lunga e documentata inchiesta sul crimine organizzato transnazionale, appare chiaro come la guerra alla droga sia un fallimento e, di più, costituisca un pericolo per la sicurezza dell’Occidente. Meno chiaro appare all’autore che l’alternativa vincente sia la strada della legalizzazione.

Il giorno dopo è la volta di Arnold Trebach, professore emerito alla American University, che dalle colonne del Washington Times parla della “Fatale alleanza” tra terrorismo arabo e cartelli della droga messicani. Trebach sottolinea le ragioni di questa alleanza, che individua nelle leggi statunitensi sulla droga. Leggi che hanno trasformato delle piante relativamente insignificanti in sostanze più preziose dell’oro e dei diamanti. Legalizzare piante e derivati – sostiene – porrebbe rimedio al problema.

A chiudere questa breve rassegna stampa estera del mese di agosto arriva la storia di copertina del numero di Settembre/Ottobre della prestigiosa rivista americana Foreign Policy. A firma di Ethan Nadelmann, fondatore e direttore della Drug Policy Alliance, “Droga: ripensiamoci” punta ancora il dito sul fallimento del proibizionismo. “Anziché considerare la richiesta di droghe illegali come un mercato – recita l’abstract – e i tossicodipendenti come pazienti, i politici di tutto il mondo hanno alimentato i profitti dei signori della droga e allevato dei narco-stati che metterebbero paura ad Al Capone. Ma finalmente inizia a prendere piede un sistema di controllo delle droghe più intelligente, alternativo alla guerra alla droga, che dà peso alla realtà e non alla retorica”.