Con la sentenza n. 90 depositata il 1° luglio 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 168-bis del codice penale, nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per i reati di spaccio di lieve entità. Si tratta di un passaggio importante, che corregge una delle molteplici distorsioni prodotte negli ultimi anni dalle politiche securitarie e punitive in materia di droghe. In particolare questa norma era stata introdotta con il decreto Caivano, insieme all’aumento delle pene per i fatti di lieve entità per droghe.
La Corte ha accolto le questioni sollevate dai Tribunali di Padova e Bolzano, che avevano rilevato l’irragionevolezza dell’esclusione del cosiddetto “piccolo spaccio” dall’accesso a una misura a forte vocazione rieducativa e deflattiva come la messa alla prova. Paradossalmente, dopo la modifica del 2023 che ha innalzato la pena massima per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli stupefacenti da 4 a 5 anni, era diventato impossibile accedere alla misura alternativa, pur trattandosi di una delle figure più lievi del sistema sanzionatorio in materia di droga.
La Consulta ha fondato la propria decisione sull’art. 3 della Costituzione, rilevando l’irragionevolezza e la disparità di trattamento tra il reato di piccolo spaccio e quello di istigazione all’uso di stupefacenti. Quest’ultimo, pur previsto con pene più elevate, rimaneva accessibile alla messa alla prova, mentre il primo no: una evidente inversione nella scala della gravità che ha richiesto l’intervento della Corte.
Si tratta di una sentenza che restituisce coerenza costituzionale e proporzionalità al sistema penale e che, nel contempo, riporta al centro il principio della funzione rieducativa della pena e della personalizzazione dell’intervento giudiziario. La messa alla prova – ricordano i giudici – non solo consente all’imputato di riparare al danno e avviare un percorso di reintegrazione sociale, ma rappresenta anche uno strumento importante di deflazione processuale, evitando processi inutili per reati di modesta gravità e facilmente accertabili.
Ancora una volta è la Corte costituzionale a dover intervenire per correggere gli effetti perversi delle scelte legislative in materia di droghe, che in nome di una retorica repressiva finiscono per colpire i soggetti più deboli del circuito penale. Questa sentenza offre invece una chance concreta di reinserimento a chi si trova coinvolto in episodi di microcriminalità legati alla marginalità e all’uso di sostanze, e rappresenta un passo avanti nel difficile cammino verso un approccio più giusto e razionale alle politiche sulle droghe.