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Immaginatevi di vivere giorno e notte con una schiena piena di chiodi. Infilzata di lame. Immaginatevi di essere un pianista e di trovare doloroso persino star seduti davanti alla tastiera, muovere i polsi, riuscire a suonare. Immaginatevi di scovare una cura che vi allevia il dolore. Ma che però è troppo costosa per voi, oltre che essere troppo strana per gli altri. Pensate allora cosa fareste in una situazione così: sareste disposti a rischiare la galera? Fabrizio Pellegrini, che a questa domanda ha risposto sì, ha 41 anni e una di quelle malattie difficili da pronunciare: una sindrome fibromialgica. È una patologia degenerativa progressiva, peggiora col passare del tempo, e consiste in una infiammazione delle articolazioni che provoca dolori, gonfiori, rigidezza degli altri, difficoltà di movimento. «In pratica», spiega lui stesso, «è come stare tutto il giorno coi muscoli contratti. Le articolazioni si infiammano, non riesci a muoverti, ad avere una efficienza lavorativa. Io, col pianoforte, ho dovuto arrendermi, ormai sono passati quasi due anni dal mio ultimo concerto, prima ci sopravvivevo ora non guadagno più. Ma già tenere le braccia “appese” per suonare, per me è uno stress. Anche dormire, del resto, è difficile». Una terapia, un modo per alleviare il dolore ci sarebbe: la cannabis. Fabrizio l’ha scoperto quasi per caso, grazie alla compagna con la quale stava ai tempi in cui si scoprì malato. Esistono delle medicine che la contengono, per cui in teoria la soluzione sarebbe a portata di mano. Eppure, per quanto sia legale procurarsele, in Italia non si producono: bisogna importarle dall’Olanda. E questo fa sì che costino una marea di soldi in più: sei euro al grammo al ministero della Salute Olandese, circa 40 al paziente italiano (ma dipende dal farmaco). Alcune Asl la passano gratuitamente, ma sono pochissime, e quella di Chieti, dove vive Fabrizio, non lo fa. A lui, dice, servirebbe un grammo al giorno: ha fatto il conto, 500 euro al mese. Ma quella è più o meno la somma che entra in casa ogni mese: la pensione di sua madre. Vivono loro due, soli, la casa per fortuna è di proprietà «e io tiro via pochissimo, 100-150 euro, giusto per mangiare». Sin qui, la storia di Fabrizio è simile a quella di moltissimi altri malati, di sclerosi multipla, epilessia, glaucoma, Aids, che si curano o cercano di curarsi proprio così, con la cannabis. La differenza è che lui, non riuscendo a procurarsela attraverso medici e Asl, ha cominciato a coltivarla in casa. E così ha collezionato una serie di arresti, qualche mese di carcere, un bel mucchietto di procedimenti penali e tre condanne in primo grado ora in attesa di appello. Le condanne sono per «coltivazione a fini di spaccio»: perché la quantità che gli agenti gli trovano in casa è superiore a quella considerata dalla legge «per uso personale». Ma a lui è l’uso personale che interessa: anzi, terapeutico.

Piantine e arresti
Va avanti così da anni. All’inizio, Fabrizio metteva le piantine sul balcone di casa, l’hanno scoperto così. Poi si è fatto una «serra interna», ma «tanto ormai gli agenti sanno che con me vanno a colpo sicuro». Dal 2001, infatti, lo schema è sempre quello: «Ad aprile pianto i semi, e nel giro di qualche mese piombano a seguestrarmi le piante». L’esito penale varia. A volte un po’ di carcere, altre no. Ma lui insiste a coltivare, «anche per dimostrare come nel mio stato si renda indispensabile fare così, visto che lo Stato se ne frega. Mi sono fatto fare le ricette dal medico, ho inoltrato le richieste necessarie, ma non serve». Solo una volta, nel 2006, Fabrizio è riuscito a procurarsi via Asl le medicine importate dall’Olanda: «Quando ho finito la scorta, dopo tre mesi, ho rifatto domanda. Ma non potevo permettermi di pagare, quindi la pratica è rimasta sospesa. Ho fatto presente al direttore della Asl e alla Centrale stupefacenti che io sono indigente, chiedendo che pagasse lo Stato, ma niente». Così, ha ricominciato con la coltivazione casalinga. «Non mi spiego come una persona che ha bisogno di cure finisca dentro perché coltiva due piantine. Non mi spiego come la polizia, quando entra in casa, non tenga in nessun conto le documentazioni mediche che pure gli mostro. L’ho metabolizzato, ma non riesco a katabolizzarlo». A maggio sono previste le prossime udienze. La scommessa sarà dimostrare, attraverso testimoni e perizie, che Fabrizio ha bisogno di curarsi così. L’esito, però, è quantomeno incerto. «Se non assumo cannabis sto fermo tutto il giorno, sul tappeto o su una poltrona. In carcere facevo ore di yoga: un po’ aiuta, a ossigenare le parti più remote del corpo, in mancanza di meglio. Il processo degenerativo è inarrestabile, lo so, ma con la terapia rallenta, si riesce a tamponarlo: e senza terapia non si può stare perché si va incontro alla morte, spiace dirlo».