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A Vienna, alla Conferenza mondiale sulle droghe, si parte da un fallimento, quello di 10 anni di politiche repressive, ben riassunte dal Rapporto sul mercato illecito della droga 1998-2007 presentato ieri nella capitale austriaca dalla Commissione europea. Lo studio è indipendente, firmato dal think tank Rand Europe e dall’Istituto olandese per le malattie mentali e le dipendenze, e non lascia spazio a dubbi: «Nel periodo che va dal 1998 al 2007 non esiste alcun elemento che faccia apparire in diminuzione il problema mondiale della droga». Con buona pace dell’Onu, che nel 1998 lanciava lo slogan «un mondo libero dalle droghe in 10 anni» varando un armamentario di politiche repressive, il pianeta è oggi più drogato di quanto lo fosse allora, con un preoccupante incremento dei consumi nei paesi in via di sviluppo ed un altrettanto preoccupante e generalizzata diminuzione dei prezzi di cannabis, coca ed ero.
Lo studio non parla solo di mercati, ma anche di politiche, con delle brutte sorprese per le posizione difese dal governo italiano, che rischia di trovarsi a Vienna ben più isolato di quanto vada predicando in giro. «Una delle conclusioni importanti – si legge nel rapporto – è che le politiche di riduzione del danno, ancora controverse in alcuni paesi, guadagnano consensi in un numero crescente di Stati che le considerano come un metodo efficace per ridurre le malattie, i problemi sociali e la mortalità legati all’uso di droga». Lo studio, va detto, non riflette la posizione della Commissione Ue, ma comunque questa non se ne discosta di molto. «La riduzione del danno – spiega un esperto dell’esecutivo comunitario – è parte integrante della politica europea sulla droga, lo studio ne dimostra senza dubbio l’utilità». Il tutto con buona pace dell’Italia, che dietro alla riduzione vede, parole del ministro Carlo Giovanardi, una «cronicizzazione della tossicodipendenza». «È l’opinione di un governo – continua l’esperto – ma ci sono chiare evidenze dell’efficacia della riduzione del danno nella lotta all’Aids ed alla dipendenza». Il commissario Ue alla libertà sicurezza e giustizia Jacques Barrot non usa gli stessi termini, ma parla di «attaccare il fenomeno droga basandoci su delle prove empiriche», in sostanza abbandonando le posizioni ideologiche. Anche il Parlamento europeo ha chiesto in due occasioni una revisione pragmatica delle politiche mondiali anti-droga.
E se Giovanardi afferma che l’Italia non è sola nella sua battaglia per modificare il concetto di riduzione del danno, da quel che raccontano le fonti comunitarie solo la Svezia starebbe «esitando» mentre gli altri paesi Ue sarebbero ben convinti dell’utilità di questo strumento. «C’è un gruppo di altri paesi – spiega ancora l’esperto – composto da Russia, Giappone, Colombia e Stati uniti che accettano il concetto, ma non la dizione, vorrebbero si parlasse di "riduzione delle conseguenze sociali", ma si tratta di obiezioni formali. Anche gli Usa hanno cambiato posizione e ora accettano l’uso del metadone e altri trattamenti sostitutivi».
Insomma, a conti fatti l’Italia appare come la più conservatrice in materia di droghe, l’unica a voler procedere senza indugi per un cammino rivelatosi sbagliato. E che sia un senso unico lo dimostrano i dati dello studio presentato ieri che offre un’analisi del fenomeno droga in 18 paesi – Australia, Brasile, Canada, Cina, Colombia, Repubblica ceca, India, Messico, Olanda, Portogallo, Regno unito, Russia, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria e Usa – oltre a fornire altri dati sui paesi Ue.
Le conclusioni mettono in scacco l’Onu e la sua strategia già dalla base, dalla raccolta dei dati, considerati «non affidabili». Poi ci sono le cifre della produzione e del consumo. La metà dei nati dopo il 1980 in Svizzera, Australia e Stati uniti si è fatta una spinello almeno una volta nella vita; il prezzo di cocaina ed eroina è diminuito dal 1998 del 10-30% mentre le politiche di contrasto alla produzione hanno avuto l’effetto di spostare la coltivazione di coca dal Perù alla Colombia e alla Bolivia, ma non di diminuire il volume totale. «Non ci sono prove – si legge – che il controllo riesca a ridurre la produzione globale». Quanto all’oppio, la produzione è costante in Afghanistan dal 2006. In Italia il mercato del cannabis crea un giro di affari pari a quasi 3 miliardi di euro, lo 0,20% del Pil, secondi solo a Repubblica ceca e Canada, mentre l’eroina di una purezza di almeno il 40% muove 1,6 miliardi, lo 0,11% del Pil nazionale, secondi solo al Regno unito. Dati che dimostrano come la repressione abbia le gambe corte.