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Sono ormai più di duecento i detenuti che nelle ultime settimane ci hanno scritto per avere sostegno e assistenza nel ricorso alla Corte europea contro le condizioni di sovraffollamento in cui sono costretti. Molti altri se ne aggiungeranno nei prossimi giorni. Con scrupolo e attenzione stiamo valutando, caso per caso, quelli che hanno ragioni per confidare in un risarcimento (monetario e, soprattutto, simbolico) dai giudici di Strasburgo.

Come per la violazione del principio della ragionevole durata dei processi (da anni l’Italia ha l’infamante primato delle condanne per l’interminabile durata dei procedimenti giudiziari), anche sul sovraffollamento e sulle conseguenti condizioni inumane e degradanti di detenzione potremmo aspirare a una biasimevole leadership nel vecchio continente. Ce ne sarebbe di che per correre ai ripari, con qualche celerità e con misure efficaci a ridurre la precondizione di queste condanne: il famigerato sovraffollamento penitenziario.

Non abbiamo, però, a tutt’oggi ascoltato una qualche proposta credibile dal Governo e dal Ministro della giustizia, che – un po’ pateticamente – ha cercato nelle scorse settimane di chiamare in causa l’Europa per il contrasto all’immigrazione clandestina, dimenticando che la condizione di clandestinità, la sua rilevanza penale e la relativa incidenza nei tassi di detenzione degli stranieri non è mica un fenomeno naturale, ma dipende da scelte politiche, e in particolare da quelle del Governo di cui egli stesso fa parte. Per il resto, si continua a favoleggiare di un piano edilizio senza copertura, che – se lo fosse – darebbe un numero di posti-letto insufficiente a ospitare i detenuti attuali, figuriamoci quanti saranno in carcere nel 2012, quando – avveniristicamente – pensano di portarlo a compimento.

Nelle more e nel silenzio, l’Amministrazione penitenziaria arranca, cercando di far fronte all’emergenza con i mezzi che non ha. Ultima testimonianza ne è la circolare del 25 agosto scorso, con cui il Dipartimento, tra le altre cose, raccomanda ai Provveditori di individuare nei recinti penitenziari delle strutture “a gestione aperta”, in cui i detenuti meno pericolosi possano essere lasciati un po’ più liberi per compensare – di fronte alla Corte di Strasburgo – l’esiguità degli spazi detentivi in cui verrebbero alloggiati. Siamo ormai al fondo del barile. Ma un’amministrazione pubblica orgogliosa del proprio ruolo non può più dignitosamente richiamare l’autorità politica a metterla nelle condizioni di assolvere nella legalità alle proprie funzioni istituzionali?