Tempo di lettura: 2 minuti

È pronto il decreto legge con cui il governo punta ad alleggerire, almeno in parte, il sovraffollamento delle carceri. Il provvedimento era stato preannunciato due settimane fa dal premier Silvio Berlusconi, e prevede la detenzione domiciliare al condannato al quale resti da scontare un anno di carcere o al condannato a una pena detentiva non superiore a un anno.

La bozza di provvedimento ricalca a larghe linee il testo del ddl ora all’esame della Commissione giustizia della Camera, tranne la cosiddetta “messa alla prova” per gli imputabili di reati puniti con pene fino a tre anni. Stralciata quest’ultima parte (su cui la Lega si è detta contraria), il decreto si limiterà a introdurre un nuovo principio, e cioè che le pene detentive non superiori a un anno, di regola, debbano essere espiate presso un domicilio esterno al carcere. A regime si pensa che le carceri saranno così alleggerite di circa 2mila detenuti all’anno (il sovraffollamento è ora pari a oltre 67.000 detenuti contro una capienza regolamentare di circa 43mila posti).

Ma la bozza di decreto introduce numerosi “paletti”: non potranno avere la detenzione domiciliare coloro che sono stati condannati per reati di particolare allarme sociale (delitti di mafia, terrorismo, sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio, rapina, etc.); esclusi anche i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, come pure coloro che sono sottoposti a regime di sorveglianza particolare o i condannati ai quali sia stata revocata una misura alternativa. E ancora: la detenzione domiciliare non sarà automatica in quanto spetterà al magistrato di sorveglianza decidere su ciascun caso; non sarà concessa nel caso in cui il domicilio non sia idoneo o quando il condannato in carcere abbia riportato provvedimenti disciplinari che fanno emergere il pericolo concreto di fuga.

Previste, infine, due misure di carattere repressivo: aumentare le pene per chi evade (anche in caso di allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare), con un raddoppio del minimo della pena (da 6 mesi a un anno) e con un triplicarsi del minimo (da uno a tre anni); introdurre nel codice penale una aggravante (con aumento delle pene di un terzo) per i delitti commessi dal condannato sottoposto a misure alternative.