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Da ormai molti anni l’immagine che i mass media ci offrono di giovani e alcol è piuttosto omogenea e quasi sempre negativa, come se tutti i giovani mettessero in atto comportamenti sempre orientati alla ricerca del rischio per il singolo, o peggio ancora, per la collettività. Questo allarme è motivato dal presunto abbandono dei valori della nostra cultura del bere – caratterizzata da una completa integrazione delle bevande alcoliche nella vita quotidiana – in favore di un’adesione a stili di consumo tipici delle culture anglosassoni e scandinave, in cui il valore prevalente è quello dell’intossicazione, ottenuta con l’assunzione di grandi quantità di alcolici concentrate perlopiù nel fine settimana.
Ma se proviamo ad andare oltre le banali e fuorvianti generalizzazioni scopriamo, in tema di consumi e abusi alcolici, un universo giovanile molto più complesso e variegato che suggerisce la necessità di aprire una riflessione sui molteplici aspetti del fenomeno.
I dati delle principali ricerche europee, pur indicando una tendenziale omogeneizzazione degli stili di consumo dovuta ai processi di globalizzazione della società contemporanea, evidenziano come in Europa persistano, anche tra i giovani, elementi tipici delle culture del bere che tradizionalmente caratterizzano gli specifici contesti sociali e culturali. E così nell’Europa del sud si continua a iniziare a bere precocemente, ma il tasso di ubriachezza resta ancora piuttosto basso, mentre nell’Europa del nord, sono gli episodi di ubriachezza a iniziare precocemente e a ripetersi con una certa regolarità. A metà strada si collocano invece i giovani che vivono nelle regioni dell’est.
Secondo autorevoli studiosi, la cultura del bere dei giovani italiani continua ad essere una cultura non orientata all’intossicazione, ma è certamente sotto gli occhi di tutti che le modalità del bere nel nostro paese sono cambiate, e non solo tra i giovani. Basti pensare che dal 1970 ad oggi il consumo di bevande alcoliche è crollato (da 16 litri di alcol puro pro capite a meno di 7), tendenza soprattutto attribuibile al consumo di vino, passato in trent’anni da 114 a 43 litri annui pro-capite! Questa drastica riduzione è dovuta principalmente agli importanti cambiamenti socio-economici avvenuti in questo periodo nel nostro paese e alla diffusione, soprattutto in tempi più recenti, di nuovi stili di vita più attenti al benessere e alla salute. Se sono dunque cambiate le modalità del bere in tutte le generazioni, tra i giovani sì è assistito ad una maggiore articolazione degli stili del bere, per una maggiore varietà di bevande alcoliche e di occasioni di consumo, senza che tuttavia sia avvenuto un totale abbandono del bere a tavola, diventato meno regolare e più esplorativo.
Se il quadro che emerge dall’analisi dei cambiamenti del bere nel tempo è complesso, sono invece le modalità di avvicinamento alle bevande alcoliche a restare sostanzialmente immutate. Dal dopoguerra ad oggi il primo assaggio riguarda il vino e avviene durante l’infanzia, in famiglia, con il consenso e l’incoraggiamento di un genitore o di un parente. Il consenso dei genitori è il principale elemento di continuità tra le generazioni e sembra cancellare qualunque significato trasgressivo alla sperimentazione della bevanda alcolica per assumere, invece, quello di un comportamento accettato, ben riconoscibile e regolato dalle norme tradizionali della cultura italiana del bere. Per contro tra i giovani nordici, oggi come in passato, il primo assaggio, la prima bevuta e la prima ubriachezza coincidono in un’unica esperienza che avviene intorno ai 15-16 anni con gli amici.
L’ultima considerazione riguarda le politiche. Per risolvere gli aspetti problematici correlati al consumo di alcol, la via dell’eliminazione totale delle bevande alcoliche dai consumi di tutti gli individui è impraticabile e, come storicamente dimostrato, inefficace. Occorre puntare su politiche che tengano conto, non solo delle evidenze scientifiche, ma anche delle specificità culturali del bere, valorizzando gli elementi protettivi e ridimensionando quelli rischiosi. Evitando soluzioni di carattere estemporaneo si favorirebbe un maggiore sforzo interpretativo in merito alla natura del fenomeno su cui si pretende di agire.