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Abbiamo sentito migliaia di volte in questi anni levarsi la denuncia dell’invasione del terreno della politica da parte della magistratura. Troppo spesso questo lamento veniva alzato da chi voleva difendere malversazioni e malefatte, coprendole sotto il manto di un falso e strumentale garantismo.

Oggi, leggendo la sentenza del Tar del Lazio contro il decreto Turco, siamo autorizzati a proclamare che davvero ci troviamo di fronte a una sentenza politica nel senso deteriore del termine. Cioè di un atto dettato da arroganza e compiacenza. Ha fatto bene il senatore Calvi a parlare del dovere di critica, severa e rigorosa, contro sentenze che appaiono errate. E’ ovvio che le sentenze si debbano rispettare per i loro effetti, ma è lecito disprezzarle nel contenuto quando questo è palesemente infondato dal punto di vista giuridico.

La questione all’esame del tribunale amministrativo era semplice. Si trattava di stabilire se il moltiplicatore stabilito da Berlusconi, come ministro della salute ad interim, e da Castelli come ministro della giustizia, per definire la «quantità massima detenibile» (al di sopra della quale scattano le pene da sei a venti anni di carcere) fosse modificabile con un nuovo decreto dei nuovi ministri Turco e Mastella. Per la canapa, il moltiplicatore individuato dal precedente governo era venti volte la «dose media singola» (DMS), per l’equivalente di 500 milligrammi di THC. La ministra Turco il 19 novembre 2006 alla Camera dei deputati aveva spiegato le ragioni dell’innalzamento a 1000 milligrammi di THC fornendo i dati sugli effetti repressivi della nuova legge. Nel periodo di applicazione fino al 31 ottobre 2006, si era verificato una aumento di arresti per marijuana del 63%, per hashish del 10%. Qui sta la ragione di una misura assai modesta, rispetto all’obbiettivo di abrogazione di una legge fra le più punitive d’Europa. E’ davvero esilarante che il Tar sia stato attivato da una associazione di consumatori; questo dettaglio forse spiega perché in Italia tale movimento sia di assoluta irrilevanza politica e culturale. Se, come sostiene il Tar sbagliando, la legge non «conferisce al decreto un potere politico di scelta in ordine alla individuazione dei limiti massimi delle sostanze che possono essere detenute senza incorrere nelle sanzioni penali», allora anche il decreto Berlusconi-Castelli deve essere cancellato: visto che nello stesso documento a suo tempo illustrato da Giovanardi per spiegare il decreto del governo Berlusconi, si precisava che il moltiplicatore della DMS era variabile e deciso «dall’amministratore» (ossia dal governo), e non dalla commissione di esperti. Che lezione si deve trarre da questa vicenda? Sarebbe stato meglio abrogare tutto il decreto ministeriale contenente l’attuale Tabella Unica e contestualmente nominare una nuova commissione per rivedere tutta la materia, con un atto politico forte: l’abbiamo sostenuto a suo tempo e ne siamo oggi ancora più convinti. Tuttavia, il nodo vero è la modifica della legge vigente. Di questo sembra che il governo Prodi cominci ad avere piena consapevolezza.

Mi auguro che ora, finalmente, il parlamento non si lasci scippare le proprie competenze dalla giustizia amministrativa e inizi l’esame della proposta di legge Boato, sottoscritta da più di 70 deputati. Forum Droghe ha chiesto con un digiuno a staffetta che venissero nominati almeno i relatori nelle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera. Dopo lo schiaffo del Tar e dopo le «idiozie» di Amato sarebbe proprio il caso che la politica battesse un colpo.