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L’11 marzo 2025 segna un momento storico: l’ex presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, è stato arrestato all’aeroporto internazionale di Manila in seguito a un mandato emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini contro l’umanità. Il provvedimento, atteso da anni, giunge come risultato delle innumerevoli denunce sui massacri compiuti durante la sua famigerata “guerra alla droga”.

Un mandato atteso da anni

Dal 2016 al 2022, Duterte ha guidato una politica repressiva senza precedenti: si stima che tra 6.200 (stime ufficiali) e quasi 30.000 persone (secondo le ONG) siano state uccise in operazioni antidroga, spesso senza prove concrete e in totale violazione dei diritti umani. Nonostante la retorica di “legge e ordine” che ha caratterizzato il suo governo, il mondo ha assistito a una vera e propria mattanza che ha colpito le fasce più vulnerabili della popolazione filippina. Nel 2019, per sfuggire a possibili incriminazioni, Duterte ha persino ritirato le Filippine dallo Statuto di Roma, tentando di sottrarsi alla giurisdizione della CPI. Tuttavia, la Corte ha mantenuto il suo diritto di procedere per i crimini commessi mentre il Paese era ancora membro.

Mentre le grandi potenze internazionali restavano a lungo in silenzio, e altre addirittura si congratulavano per “il buon lavoro fatto” come gli Stati Uniti del primo mandato Trump, organizzazioni come DRCnet, Non c’è pace senza giustizie, Associazione Luca Coscioni insieme anche a Forum Droghe e Fuoriluogo hanno portato avanti un lavoro incessante di denuncia e sensibilizzazione. Attraverso articoli, report e interventi nei consessi internazionali (trovate nel nostro canale youtube la serie di eventi alle Nazioni Unite in collaborazione con la DRCnet Foundation, compreso quello che proprio oggi si terrà alla 68esima sessione della Commissione Droghe dell’Onu), queste realtà hanno contribuito a mantenere alta l’attenzione sui crimini di Duterte. Fin dal principio sulle pagine di Fuoriluogo hanno avuto spazio e voce le vittime e le organizzazioni per i diritti umani nelle Filippine, denunciando la brutalità della repressione e la complicità di molti governi occidentali nel tollerare – se non supportare – la guerra alla droga filippine.

Il significato dell’arresto

L’arresto di Duterte non rappresenta solo un atto di giustizia per le migliaia di vittime della sua politica, ma può segnare anche un punto di svolta nella lotta globale contro le strategie repressive in materia di droghe. Il suo caso dimostra che nessun leader, per quanto potente, può rimanere impunito per crimini contro l’umanità. Questo risultato rafforza il lavoro di chi combatte da anni per un approccio alternativo alle politiche sulle droghe, basato sui diritti umani e sulla riduzione del danno.

Le reazioni internazionali

L’arresto ha suscitato reazioni contrastanti. Mentre le organizzazioni per i diritti umani e le famiglie delle vittime hanno accolto la notizia come una vittoria della giustizia, i sostenitori di Duterte – inclusa sua figlia Sara, attuale vicepresidente – parlano di persecuzione politica. Nel frattempo, il governo del presidente Marcos Jr. si trova a dover gestire un caso delicato, che potrebbe avere ripercussioni sulle relazioni internazionali delle Filippine e sulle elezioni di mid-term, in arrivo a maggio.

Il caso Duterte rappresenta un monito per tutti quei governi che continuano a giustificare la repressione in nome della lotta alla droga. Le politiche proibizioniste hanno fallito ovunque e hanno prodotto solo violenza, ingiustizia e corruzione. L’arresto di Duterte è un segnale chiaro: il tempo dell’impunità sta finendo.