Tempo di lettura: 3 minuti

Vancouver, città canadese della Columbia britannica, ha scelto negli ultimi anni di implementare in maniera decisa le politiche di riduzione del danno. Il modello Vancouver si presenta come un insieme di interventi integrati e di azioni innovative che, dopo una fase di sperimentazione, sono entrate a regime per completare il sistema di presa in carico. Se ne è discusso di recente a Bologna in un seminario organizzato dalla Regione Emilia-Romagna, dall’Ausl di Forlì e da Itaca Italia: l’esperienza canadese è stata illustrata da Michael Krausz, docente di Psichiatria, Epidemiologia e Salute Pubblica all’Università della British Columbia, trasferitosi da Amburgo a Vancouver, dove è responsabile delle strategie di riduzione del danno.

Vancouver è una città “giovane”, con una forte dinamica multiculturale e con problemi di uso di droghe piuttosto rilevanti. Fra questi, sono da ricordare un diffuso uso di stimolanti; una presenza notevole di consumo per via endovenosa con fenomeni di “scene di droga all’aperto” (open scenes); un coinvolgimento piuttosto esteso dei natives (i gruppi etnici originari), una presenza crescente di homeless e di persone senza mezzi di sopravvivenza. Una situazione critica, quindi, nella quale il consumo di oppiacei è ancora molto importante: da qui la scelta di creare una rete di bassa soglia, favorita dagli ampi spazi di autonomia amministrativa di cui gode il governo locale, pur se con una disponibilità finanziaria piuttosto limitata.

Il sistema di interventi coinvolge diversi attori istituzionali (autorità cittadine, forze dell’ordine, istituzioni sanitarie e sociali ) che hanno stilato un “patto con la città”: con la promessa, peraltro mantenuta, alla cittadinanza di ridurre i rischi per la salute pubblica. In questo contesto, le forze locali di polizia basano il loro intervento su un’alta dose di pragmatismo e, invece di concentrarsi sul contrasto al consumo, sono molto impegnate contro il narcotraffico e lo spaccio grande e medio.

La gamma di interventi include molte azioni tipiche e conosciute, quali: lo scambio di siringhe, l’offerta di prestazioni sociali, la tutela della salute fisica dei consumatori e altri interventi di carattere psicologico e sociale per chi vuole intraprendere un percorso di cura.

A Vancouver è attiva anche una sperimentazione di prescrizione medicalmente assistita di eroina, che Krausz ed il suo gruppo hanno mutuato dalle esperienze (soprattutto tedesche, ma anche svizzere , britanniche, spagnole e olandesi): i trattamenti con eroina sono diretti ad un gruppo limitato di consumatori di oppiacei con precise caratteristiche.

Inoltre, è stata aperta da più di tre anni una “stanza del consumo” (SIS, Safe Injecting Site), che garantisce minori rischi nell’uso iniettivo ai soggetti che la frequentano. Diverse centinaia di consumatori transitano per i locali della SIS, che ha ormai superato la fase della sperimentazione e, grazie ai risultati positivi, è entrata ormai a regime. La “stanza del consumo” di Vancouver è l’unica nel suo genere in tutto il continente americano.
Dall’esperienza canadese, si ricava l’importanza – sottolineata da Krausz – di un sistema che si adatti alle esigenze dei consumatori e che sia capace di dare risposte valide iniziando dalle problematiche di base (le emergenze ed i rischi legati al consumo), per passare poi ai bisogni medici, a quelli sociali (alloggio, lavoro), a quelli in campo psichiatrico. Il tutto con uno sforzo costante di inclusione verso istituzioni e competenze professionali diverse: ospedali, medici di base, servizi sociali.

C’è da chiedersi come sia stato possibile attivare servizi come le SIS o i trattamenti con eroina in presenza dei vincoli legislativi. La legge canadese permette comunque le eccezioni legate alla ricerca ed alla sperimentazione e il tutto è stato condotto senza eccessivo rumore. Quanto alle risorse, anche a Vancouver i fondi scarseggiano: l’opzione è perciò di spendere bene ciò che si ha a disposizione.
In Italia perfino il termine riduzione del danno è oggetto di censura, come si è visto alla conferenza di Trieste: proprio per questo le occasioni di scambio con esperienze internazionali si rivelano preziose, mentre è auspicabile che cresca un forte coordinamento degli interventi a livello nazionale.