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Dopo le recenti polemiche televisive sulle dichiarazioni di Morgan sul suo consumo di cocaina e i  “vantaggi “ che questo gli avrebbe procurato (un miglioramento dell’umore e delle prestazioni),  anche il sottosegretario Giovanardi non si è voluto far mancare un tentativo di visibilità mediatica a partire da questo tema: ha convocato la Consulta nazionale degli esperti sulle droghe e le tossicodipendenze perché approvasse un “ Codice nazionale di autoregolamentazione per le trasmissioni televisive sul tema droghe”. Il testo proposto ci riporta a passati approcci general-generici sulla “droga”, che pensavamo  cancellati dalle evidenze scientifiche e da una analisi minimamente seria  della realtà che ci circonda. Mentre la realtà ci racconta di un consumo sempre più diffuso di sostanze psico attive legali e non, con modelli di  uso e forme di dipendenza molto diversi tra loro; mentre il sistema degli interventi sociosanitari è sempre più abbandonato ed in difficoltà; il documento descrive il consumo di sostanze come un blocco unico, indifferenziato ed egualmente problematico: un approccio di  “generalizzazione” della condanna verso “la droga”, che accomuna nella valutazione del rischio cannabinoidi e altre sostanze, consumi sporadici e consumi intensivi. Ancora una volta, il documento appare rispondere a spinte ideologiche per costruirvi intorno schieramenti politici, mentre sul piano delle politiche pubbliche non prende nessun impegno serio, né di investimento su progetti nazionali di prevenzione e di cura, né di sviluppo di un piano nazionale di salute per favorire forme diffuse di autotutela. Ancora una volta, si sovrappongono letture sociali fortemente moralistiche sul senso dei consumi di sostanze stupefacenti ad un richiamo generico a emergenze sanitarie sottese a questi consumi: omettendo che i problemi più gravi arrivano soprattutto dall’abuso di alcol e solo in minima parte di “droghe” (come il numero di morti per patologie connesse e i danni dovuti agli incidenti connessi). Così, mentre si criticano pesantemente le connessioni tra la “modernità” e i consumi di stupefacenti, si tace sulla massiccia diffusione di psicofarmaci e non si dice nulla sull’ambiguità di molti messaggi pubblicitari. Forse perché non si vogliono mettere in crisi gli enormi introiti che le televisioni ricavano dalla pubblicità degli alcolici? Il problema sono Morgan, Lapo Elkann, o l’attore Calissano “beccati” a usare droghe e perciò non più compatibili socialmente per la loro visibilità mediatica?  Oppure il nodo è un modello sociale imperniato sulla visibilità estremizzata, sulla prestazione non importa come raggiunta, sulla competizione continua, sulla finzione come regola di vita? Modello, si badi bene, sostenuto e divulgato dai media e dalla televisione pubblica. Fino a quando non ha dichiarato di consumare cocaina, Morgan era un vivace ed efficace comunicatore e nessuno si preoccupava di come riuscisse a garantire questa vivacità.  Poi l’ipocrita espulsione da Sanremo, solo perché lo ha dichiarato senza fingere pentimento. Il perbenismo che rimuove la realtà rischia di essere la chiave interpretativa di fenomeni diffusi.

Alcune associazioni, come il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e il Gruppo Abele hanno annunciato di non partecipare alla riunione della Consulta, giudicando di per sé fuorviante la scelta di porre al centro il “caso Morgan”; altri operatori e organizzazioni che hanno partecipato hanno criticato, nei contenuti e nei modi, la proposta del codice di autoregolamentazione.
Il sottosegretario Giovanardi, nella sua critica severa ai media, sembra dimenticare quanto abbia usato la disponibilità degli stessi media per sostenere e far approvare con una forzatura istituzionale (all’interno di un decreto legge sui giochi mondiali invernali, ricordiamolo) la sua legge antidroga, stupidamente punitiva. Ci piacerebbe un impegno almeno equivalente verso i media per rendere pubblici i dati sull’applicazione della legge Fini-Giovanardi a quattro anni dalla sua approvazione ed aprire un vero confronto sulla sua efficacia. Che ne è della diminuzione promessa dei consumi diffusi, a fronte dei numeri delle persone finite inutilmente in carcere?