Tempo di lettura: < 1 minuto

Nessun beneficio a chi fa abitualmente uso di sostanze stupefacenti e rifiuta di sottoporsi a terapia per uscire dal tunnel. Lo sottolinea la Cassazione, accogliendo il ricorso del Procuratore generale presso il Tribunale di sorveglianza di Potenza che si era opposto alla concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova ad un 44enne Mario E., in relazione alla pena di sette anni e otto mesi di reclusione da espiare per una serie di delitti.

Secondo la Suprema Corte, ‘ferma restando la natura discrezionale del provvedimento ai fini dell’ammissione al beneficio’, per concederlo e’ necessario che colui che aspira ad ottenerlo ‘abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi e che alla domanda sia allegata una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata attestante lo stato di tossicodipendenza’.

Nel caso in questione, invece, annota la Prima sezione penale (sentenza 38055) ‘non risulta se il condannato sia attualmente tossicodipendente e se sia abituale l’uso di sostanze stupefacenti da parte sua, e neppure viene spiegato perche’ si e’ ritenuto di dovere concedere un beneficio penitenziario di natura chiaramente eccezionale ad un soggetto, indicato dagli organi di polizia, come ‘persona di elevatissima pericolosita’ sociale che puo’ contare su una fitta rete di conoscenze…dai quali si fa rilasciare certificati di assunzione al lavoro al solo scopo di evitare la carcerazione’. Da qui il rinvio dell’ordinanza impugnata al Tribunale di sorveglianza di Potenza ‘per nuovo esame’. Dall’esame degli atti, annota infatti la Suprema Corte, emergono contraddizioni perche’ da una parte si dice che Mario E. e’ ‘tossicodipendente e non assume terapia’, dall’altra si dice che ‘gli esami tossicologici non hanno evidenziato la presenza di sostanze di abuso’.