Alla fine dello scorso Aprile, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT), organo del Consiglio d’Europa, ha divulgato il prorio rapporto annuale, giunto alla 34esima edizione, che torna a sollevare gravi preoccupazioni circa la situazione detentiva in vari Paesi, tra cui quella italiana.
Nel corso degli ultimi dodici mesi, il CPT ha intensificato la propria attività ispettiva visitando venti Paesi, affiancando alle ispezioni colloqui di alto livello con ministri e rappresentanti istituzionali. Le visite sono state 20 (otto periodiche e dodici ad hoc, Italia inclusa tra queste ultime), per un totale di 201 giorni di lavoro e 181 luoghi di detenzione ispezionati. Globalmente, sono stati esaminati 18 ospedali psichiatrici, 75 stazioni di polizia, 14 centri per la detenzione di persone immigrate, 58 carceri, 4 istituti di assistenza sociale e 12 altri luoghi di detenzione. In cinque Stati (Albania, Italia, Montenegro, Regno Unito e Macedonia del Nord) gli incontri hanno coinvolto esponenti di vertice dell’esecutivo – nel caso della Macedonia del Nord, anche il Primo Ministro.
Due le tematiche evidenziate all’interno del report: il primo e più urgente problema riguarda il sovraffollamento, criticità che continua a caratterizzare le strutture detentive europee a livello crescente, con conseguente deterioramento delle condizioni della vita e della sicurezza di detenuti e operatori carcerari. Tra i Paesi maggiormente esposti a tale contingenza, spiccano gli Stati dell’Europa occidentale, Italia in primis, dove il numero di detenuti ha raggiunto livelli insostenibili, mettendo a dura prova la capacità di accoglienza delle strutture penitenziarie. La seconda questione posta in evidenza ha a che fare con la persistenza, all’interno dei sistemi carcerari, delle cosiddette gerarchie informali. Si tratta di un fenomeno registrato con particolare intensità negli ex Stati sovietici, dove il CPT ha attestato la regolare esistenza di gruppi di potere all’interno delle carceri, spesso legittimati dal tacito consenso delle autorità, generando episodi di abuso e violazione dei diritti fondamentali dei detenuti.
In generale, l’inchiesta del Cpt mette in luce una realtà contraddistinta dalla lentezza dei processi di riforma, i quali non riescono a fungere da garanzia delle condizioni minime di vivibilità all’interno delle strutture carcerarie, ponendo in dubbio il corretto funzionamento del sistema penale europeo. In base a ciò, il Consiglio d’Europa sta valutando la creazione di un progetto multilaterale per promuovere soluzioni condivise e replicabili con il sostegno tecnico dello stesso CPT, che ha ribadito la propria disponibilità a supportare gli Stati nel garantire condizioni detentive decorose.
Il caso Italia
In tale quadro complessivo, l’Italia mostra una delle situazioni in assoluto più critiche, comparendo nel novero di paesi definiti osservati speciali insieme a Bulgaria, Romania e Turchia, e non solo in merito alla condizione degradante del sistema penitenziario nazionale: a essere poste sotto esame sono state infatti anche le condizioni di vita all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), strutture detentive destinate ai cittadini stranieri in attesa di espulsione, oggetto di un focus analitico specifico da parte dell’organismo. L’ispezione condotta nel nostro paese ha riguardato in particolare quattro Cpr, mettendo in luce una situazione critica sotto diversi profili, dal trattamento dei detenuti alle soluzioni logistiche, dall’assistenza sanitaria alle garanzie legali.
Il sistema carcerario italiano, secondo il CPT, soffre una crisi strutturale aggravata dal sovraffollamento cronico, con ricadute dirette sulla qualità della vita e su sicurezza e relazioni interne. L’aumento dei suicidi nel 2024, tra detenuti e operatori penitenziari, è infatti indicato come un estremo segnale d’allarme.
Nell’ambito di un incontro alla presenza del ministro della Giustizia Carlo Nordio, tenutosi a Roma il 29 Ottobre 2024, la delegazione del CPT ha presentato un pacchetto di raccomandazioni urgenti – a partire dall’introduzione di un ventaglio più ampio di attività strutturate all’interno dei centri, sottolineandone la supplementare necessità in base all’estensione del periodo massimo di detenzione amministrativa nei centri, portato dall’attuale esecutivo fino a un termine di 18 mesi.
Per quanto riguarda l’aspetto sanitario, è stata richiesta una riforma della valutazione di idoneità alla detenzione, coinvolgendo medici esperti in contesti di sicurezza, nonché un miglioramento dello screening all’ingresso dei centri.
Nel rapporto, il CPT denuncia diversi casi documentati di maltrattamenti fisici e uso sproporzionato della forza nei CPR, soprattutto durante alcune operazioni di contenimento successive a eventi critici come proteste o rivolte. A preoccupare è anche l’assenza di un sistema indipendente di monitoraggio e la carenza di documentazione clinica sulle lesioni riportate. Una delle criticità più gravi riguarda la somministrazione sistematica e non prescritta di farmaci psicotropi nel CPR di Potenza, unitamente all’uso esteso delle manette nel corso delle traduzioni dei detenuti. L’ambiente stesso dei CPR, con strutture che ricordano le carceri, in ragione della presenza di grate alle finestre e di spazi esterni simili a gabbie, è stato ritenuto inadeguato e contrario a uno standard detentivo dignitoso. A ciò si aggiungono carenze igienico-sanitarie, scarsa qualità del cibo e carenza di attività ricreative e culturali. Il risultato è rappresentato da condizioni di vita definite “impoverite”, con detenuti “immagazzinati” e senza prospettive né strumenti per affrontare la detenzione. Stando a quanto dichiarato dal CPT, le discrepanze tra i servizi previsti dai capitolati di gestione dei centri e quelli realmente forniti hanno portato all’apertura di indagini penali.
Il rapporto pone infine dubbi sull’intenzione dell’Italia di replicare il modello dei CPR in contesti extraterritoriali, come previsto dal recente accordo con l’Albania. Secondo il CPT, le condizioni materiali, la gestione privatizzata e la mancanza di trasparenza osservate in Italia rendono problematico replicare questo sistema al di fuori dai confini nazionali. Nella sua risposta ufficiale, il governo italiano ha specificato che non sono state avviate indagini penali sui casi di presunti maltrattamenti e che i detenuti nei centri hanno ricevuto ispezioni sanitarie, giustificando alcuni elementi di tipo carcerario come risposta all’alto numero di atti vandalici.