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Akmal Shaikh, cittadino britannico, è stato giustiziato il 29 dicembre in Cina. Era stato arrestato nel 2007 all’aeroporto internazionale di Urumqui, nel Xinjiang, perché trovato in possesso di quattro chili di eroina.  Se l’esecuzione capitale è sempre da rifiutare, la pena di morte  per reati non violenti come quelli di droga è un’aperta violazione dei diritti umani perché non rispetta il principio della proporzionalità della pena.

Mentre nel mondo diminuiscono i paesi che applicano la pena di morte, le esecuzioni per droga aumentano in proporzione ad altri crimini e sono ancora trenta gli stati che mantengono la pena capitale per reati di droga. Fra questi la Cina, che il 26 giugno 2009 ha eseguito dieci sentenze capitali “per celebrare” la giornata mondiale antidroga.

Alla radice di questa perdurante barbarie, è l’ideologia della “guerra alla droga”, che contrasta con i diritti umani. Non è un caso che la stessa Onu si trovi a parlare due lingue diverse, come è accaduto per l’ultima  Dichiarazione Politica sulle droghe approvata dalla Commission on Narcotic Drugs a Vienna nel marzo 2009. Il rapporteur Onu sulla tortura aveva raccomandato che fossero esplicitamente denunciate le tante violazioni perpetrate da molti stati contro gli imputati per reati di droga (come l’estradizione verso paesi che applicano ai detenuti trattamenti inumani e degradanti), ma gli organismi Onu preposti alle droghe non hanno raccolto l’invito per non mettersi contro i paesi “duri”sulla droga.

Il direttore dello Unodc (l’agenzia Onu sulla droga), Antonio Costa, nel suo discorso di apertura a Vienna prendeva partito contro la pena di morte per droga, affermando che “se è vero che le droghe uccidono, noi non dobbiamo uccidere per le droghe”(sic!). La stessa retorica della droga killer  invocata a sostegno della pena di morte: “La quantità di eroina introdotta da Shaikh bastava a causare 26.800 morti”- ha commentato icastica  la portavoce del ministero degli esteri cinese.