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L’American College of Physicians e’ la piu’ grande organizzazione di medici specializzati e la seconda per numero di medici iscritti. I suoi 124 mila iscritti sono specializzati in cardiologia, neurologia, malattie polmonari, oncologia e malattie infettive, e la sua pubblicazione scientifica, Annals of Internal Medicine, e’ la piu’ prestigiosa a livello mondiale.

Nell’articolo pubblicato nel mese di febbraio, si legge che le normative sono sbagliate quando si tratta della marijuana terapeutica, ed e’ ora che la politica vada di pari passo con la scienza.
Attualmente, 38 Stati e la legge federale impediscono il consumo della sostanza anche a fini terapeutici. Il Governo federale include la marijuana fra le droghe piu’ pericolose (Schedule I), e ne impedisce il consumo anche sotto la supervisione medica.

L’associazione chiede “la riclassificazione in una categoria piu’ appropriata, fornendo prove scientifiche sulla sicurezza ed efficacia per alcune malattie”, e -prosegue il documento- chiede protezione civile e penale per i medici che la prescrivono, autorizzati dalle leggi statali.

L’ACP chiede piu’ ricerche, sottolineando pero’ che in alcune aree l’efficacia e’ stata gia’ appurata, dovendosi determinare ora solo le giuste dosi e il modo per somministrarla.

L’articolo demolisce alcuni miti e, all’obiezione piu’ seria, ossia che il fumo possa danneggiare i polmoni, ribatte che e’ stata superata dall’uso dei vaporizzatori, su cui esistono prove di efficacia e sicurezza.

Non ci sono ragioni per credere che il consumo terapeutico possa portare ad una tossicodipendenza. “La marijuana non ha dimostrato di portare ad un abuso di droghe. Gli oppiacei creano grande dipendenza, e nonostante cio’ sono usati in medicina. Non ci sono prove che il consumo medico di oppiacei abbia spinto nessuno a considerarne innocuo il consumo ricreativo”.